26 aprile 2020 – Domenica III di Pasqua (anno A) – Don Samuele
Sia lodato Gesù Cristo. Sempre sia lodato.
Da quella Domenica sera di Pasqua – quando il Signore ha accompagnato per 11 chilometri due discepoli stanchi, sfiduciati, disperati –, cioè da 2000 anni, noi stiamo ripetendo le stesse parole: “Resta con noi, Signore, perché si fa sera”. Soprattutto quando un macigno mostruoso, come quello che sta mettendo a dura prova l’intero pianeta, incombe sull’umanità, accanto all’intelligenza e alla buona volontà, accanto alla solidarietà e alla collaborazione umane, sentiamo il bisogno di un di più: è la fame di una compagnia, di un sostegno, di un soccorso, di un miracolo, che solo la Provvidenza di Dio è in grado di realizzare. Perciò con particolare intensità ed insistenza facciamo nostre le parole dei due di Emmaus: “Resta con noi, Signore, perché si fa sera”, una sera opprimente e drammatica, che può essere rischiarata e rasserenata solo dal tuo amore che spezza il pane, che scalda il cuore, che apre gli occhi, che spinge a correre, sprezzanti del buio e del pericolo, incontro ai fratelli, per portare a tutti l’annuncio e la speranza della resurrezione della vita nuova.
Popolo della Resurrezione e della vita
Sono realtà che diamo come ovvie e scontate. In realtà, accanto ad un Dio Creatore, che opera incessantemente per la resurrezione e la vita, non solo del suo Cristo, ma dell’intero cosmo, vi è un nemico che lavora per la distruzione e la morte. È stato così per Gesù, come Pietro e gli undici hanno ricordato nella loro predica di Pentecoste: “consegnato a voi secondo il prestabilito disegno e la prescienza di Dio, voi, per mano di pagani, l’avete crocifisso e l’avete ucciso”. È così per il cosmo, torturato e ucciso dalla stoltezza umana, di cui il coronavirus potrebbe benissimo essere frutto. Allora come oggi abbiamo bisogno di contrastare la cultura della morte con l’annuncio e l’impegno per la vita: “Ora Dio lo ha risuscitato, liberandolo dai dolori della morte, perché non era possibile che questa lo tenesse in suo potere”. Queste parole attestano una volontà ed un disegno di Dio, contrastato, ma vincente. Dio vince sempre, la vita di Dio vince sempre, dobbiamo crederlo, dobbiamo volerlo, dobbiamo collaborare perché questo avvenga, allora come oggi. Lo facciamo con una certezza nel cuore, quella espressa dal salmo: “Tu non abbandonerai la mia vita negli inferi né permetterai che il tuo Santo subisca la corruzione. Mi hai fatto conoscere le vie della vita, mi colmerai di gioia con la tua presenza”. Una certezza, non un sogno, un’utopia, o un’illusione, perché “Gesù, Dio lo ha risuscitato e noi tutti ne siamo testimoni”, così hanno dischiarato i primi discepoli. A noi cristiani, discepoli di oggi, è affidato l’annuncio, ma anche la sua realizzazione. Noi siamo i testimoni, oggi, della vita di Dio che si impianta sulle nostre situazioni di morte e le vince. Siamo il popolo della resurrezione e della vita, che combatte il coronavirus tanto quanto l’aborto – che il sistema sanitario nazionale garantisce in questo periodo a domicilio –; popolo della resurrezione e della vita, che combatte la poca fede tanto quanto la caduta della speranza; popolo della resurrezione e della vita, che combatte l’egoismo, l’indifferenza ed ogni mancanza di amore.
Popolo della speranza e della missione
Ed, insieme, siamo popolo della speranza e della missione, sapendo bene che è facilissimo, e naturale, identificarci in quei due discepoli dal “volto triste”, che vivono di ricordi e di passato, come se non ci fosse un oggi: “noi speravamo”, adesso non più; noi credevamo in Lui, adesso non più; noi ci impegnavamo sulla sua parola, adesso non più! A volte è più facile crogiolarsi nel dolore, che reagire; per qualcuno è più facile sopravvivere, che vivere in pienezza. Anche per noi credenti è più rassicurante il composto sconcerto, ed il freddo scetticismo degli apostoli, capaci di una sola constatazione: “ma lui non l’hanno visto”, che il fervore appassionato delle donne che “si sono recate al mattino alla tomba e, non avendo trovato il suo corpo, sono venute a dirci di aver avuto anche una visione di angeli, i quali affermano che egli è vivo”. Ogni Domenica è la nostra occasione per vivere questo viaggio a Emmaus nella celebrazione dell’Eucarestia, il momento in cui Gesù, nell’arco di un’ora, fa per noi quanto ha fatto per anni con tutte le persone che ha incontrato: dice parole che fanno ardere il cuore e compie il gesto dello spezzare il pane che lo rende fisicamente presente, come è stato fisicamente presente nel presepio di Betlemme, nella casa e nella bottega di Nazaret, sulle sponde del lago di Genezaret, nei molti miracoli sulla strade della Palestina, alle porte di Gerusalemme quando è stato accolto come Messia, nella sala del cenacolo quando si è fatto pane, Eucarestia, quando è stato inchiodato sulla croce, quando ha lasciato il sepolcro dei morti e si è ripreso la Vita, quella con la V maiuscola. In quale altro luogo, in quale altra occasione, possiamo ricevere questa iniezione di speranza? Chi altro può renderci popolo della speranza, perché la smettiamo di dire “noi speravamo”, e, incominciamo, finalmente, a dire: “noi crediamo, noi speriamo, noi amiamo, oggi, non ieri”? Chi altro può mettere benzina nel motore della nostra vita, e trasformarci da Chiesa – gigante che dorme, in popolo della missione, anche fuori orario, come è stato per i due di Emmaus? Su questa trasformazione dobbiamo, e dovremo riflettere molto, ma anche agire molto.
Popolo della fede
Popolo della Resurrezione e della vita, popolo della speranza e della missione, popolo della fede. Pietro, nella sua prima lettera, ci sta aiutando a cogliere la ricchezza e la bellezza della nostra fede, approfondendo il Battesimo, da cui tutto ha avuto inizio. E per farci questo regalo graditissimo, non teme di usare parole sgradevoli, come quelle che abbiamo ascoltato nella 2 lettura: Siamo stati riscattati – sentite che roba – dalla “dalla vostra vuota condotta, ereditata dai padri” … sembra la descrizione o la fotografia di tante mode e abitudini di vita di oggi. La vuota condotta, cioè una vita futile, puerile, viziata, capricciosa, tipica, non della gente normale, che non se la può permettere, ma di quelli che occupano schermi e pagine di giornali, che percepiscono un mensile che la gente normale non percepirà mai spaccandosi la schiena per tutta una vita, e sono quelli che fanno audience, e creano mentalità e stili di vita diffusi. È la triste eredità che ricevono in dote tante giovani vittime di quello che viene chiamato “progresso” … adulti senza scrupoli che poi puntano il dito sui giovani, frutto del mondo che loro hanno creato; le vittime trasformate in carnefici e viceversa. Ecco, dice Pietro, siamo stati liberati da questo non con oro o denaro “ma con il sangue prezioso di Cristo”. È grazie a Lui che abbiamo potuto prendere coscienza di ciò; è grazie a Lui che abbiamo avuto la grazia di credere; che abbiamo “la fortuna di appartenergli”, come diceva il Card. Biffi; e a che scopo? Affinché “la vostra fede e la vostra speranza siano rivolte a Dio”. A sconfiggere il coronavirus, e tanti, tutti i mali del mondo, non sarà semplicemente un vaccino – che auspichiamo, con fiducia in tanti scienziati onesti e competenti – ma un popolo della fede, che anziché occuparsi di curare, si preoccuperà di prevenire, riportando la fede nel Signore Gesù ad essere l’anima della vita di tante persone, di tante famiglie, di tante società, capaci di dire soltanto “noi speravamo!”. Il popolo della fede è quello che sa dire: “noi crediamo, noi speriamo, noi amiamo, ieri, oggi, sempre”, perché abbiamo la gioia di fidarci e di affidarci a Lui: “Signore Gesù, facci comprendere le Scritture;
arde il nostro cuore mentre ci parli e spezzi il pane per noi”.