OmelieOmelie Giugno 2020

7 giugno 2020 – Domenica della Santissima Trinità (anno A) – Don Samuele

Sia lodato Gesù Cristo. Sempre sia lodato.

 

Dopo avere celebrato nel tempo della Pasqua il grande progetto divino, cioè il fatto che il Padre ha donato al mondo il suo Figlio, disposto ad amare fino all’abisso della croce, ed ha effuso lo Spirito nella Pentecoste – l‘abbiamo celebrato Domenica scorsa –, affinché ciascuno potesse sperimentare questo amore, eccoci alla Domenica che segue tutto questo percorso, Domenica in cui è come avere percorso un tratto di strada panoramico stupendo, e, giunti alla fine, ci si volta indietro perché si vorrebbe vedere ancora per qualche istante quella meraviglia che ci siamo lasciati alle spalle, per avere uno sguardo sintetico di quella visione di Paradiso. E poiché dobbiamo continuare il viaggio, non vorremmo staccarci dalla meraviglia che abbiamo conosciuto. Ecco lo scopo della festa della Trinità, che siamo invitati a “gustare” oggi, in tutta la sua bellezza e bontà.

 

Attualità della preghiera di Mosè

Ed anche oggi ci viene proposto un percorso per apprezzare questa degustazione. Il primo passo parte da lontano, dall’esperienza di Dio che ha avuto Mosè – e parliamo di 3.300 anni fa, come abbiamo sentito narrare nella 1 lettura di oggi. Mosè si ritrova sul monte Sinai con in mano un tesoro prezioso: le due tavole di pietra con impressi i dieci comandamenti. Tesoro prezioso ma pericoloso, non per i rischi cui ci hanno abituato i films di Indiana Jones alla ricerca dell’Arca perduta. Pericoloso perché una legge così impegnativa rischia di far travisare chi è Colui che l’ha donata, trasformando Dio da Amore in rigore, da dono in legge, da libertà in schiavitù. Ed ecco allora che risuona la voce di Dio che aggiusta il tiro con una rivelazione che è una rivoluzione: «Il Signore, il Signore, Dio misericordioso e pietoso, lento all’ira e ricco di amore e di fedeltà» così Dio si è raccontato. Ecco chi è veramente e chi è finalmente Dio, e non è cosa di poco conto, se pensiamo che dopo tre millenni e tre secoli, la maggioranza dei cristiani non ha ancora né conosciuto, né apprezzato «Il Signore, il Signore, Dio misericordioso e pietoso, lento all’ira e ricco di amore e di fedeltà». Dobbiamo dirlo con molta tristezza nel cuore: la maggior parte dei cristiani è ferma ancora ad una visione distorta, per cui Dio da Amore è ridotto a rigore, da dono è trasformato in legge, da libertà è contrabbandato con schiavitù. Non ci sono parole per dire questa assurdità! Veramente non ci sono commenti, se non il rivolgerci a Lui, “misericordioso e pietoso, lento all’ira e ricco di amore e di fedeltà”, per dirgli con preghiera accorata: “siamo un popolo di dura cervìce, ma tu perdona la nostra colpa e il nostro peccato: fa’ di noi la tua eredità”! Ci buttiamo tra le braccia degli idoli più assurdi, rinunciamo alla nostra capacità di pensare, alla nostra libertà di agire, alla nostra forza di amare ciò che merita di essere amato, noi, soprattutto nella società occidentale, ci entusiasmiamo per ciò che è spazzatura e ci estraniamo da Te, sicuri di andare incontro alla rovina, alla tristezza, alla morte, siamo un popolo di dura cervìce, ma tu perdona la nostra colpa e il nostro peccato: fa’ di noi ancora e sempre la tua eredità”. Questo è il primo passo.

 

La fede professata da Paolo

Il secondo passo è accompagnato dall’apostolo Paolo, che scrivendo ai Corinzi, si rivolge a tutti i credenti, quindi anche a noi. E, nella seconda lettura, ci ha confermato quella esperienza di grazia già vissuta da Mosè, definendo Dio come “Dio dell’amore e della pace”. In più aggiunge – come raccomandazione e come consiglio – quegli atteggiamenti di fondo e quei comportamenti spiccioli che derivano dalla fede in Dio: essere gioiosi, tendere alla perfezione, farsi coraggio a vicenda, avere gli stessi sentimenti che Dio ha nei nostri confronti, per poter vivere in pace ed essere figli del Dio dell’amore e della pace. È un bel programma di vita, impossibile se non si ha un riferimento a Dio; logico e consequenziale, persino facile, se la Trinità la preghiamo, se nella Trinità ci viviamo, se il profumo e l’amore della Trinità lo respiriamo a pieni polmoni, in quella prospettiva che l’apostolo suggerisce e che conosciamo bene, perché è diventata il saluto liturgico delle nostre celebrazioni. Anche oggi ci siamo salutati così: “La grazia del Signore Gesù Cristo, l’amore di Dio e la comunione dello Spirito Santo siano con tutti voi”.

 

La vita mostrata e donata dal Signore Gesù

            Ed eccoci al terzo passo per gustare la Trinità. L’Evangelo ci ha offerto alcune battute di un lungo dialogo notturno tra Gesù e Nicodemo. Questi era un uomo religioso, un onesto cercatore della Verità, un giudeo aperto alle sorprese di Dio, un uomo che si era lasciato inquietare da Gesù, divenuto per Lui un “segno di contraddizione”. E dialogando con Lui, Nicodemo riceve risposte che rallegrano ed allargano il cuore ad ogni persona, come abbiamo sentito. Quel Dio, che tante volte appare distante e distratto; quel Dio, che tante volte accusiamo di essere insensibile ed impassibile; quel Dio, che ci tormenta con la sua apparente indifferenza e disinteresse, … è esattamente l’opposto di quello che quello che noi crediamo, o che ci fa comodo credere, sì, che ci fa comodo credere, perché se ammettessimo chi è Lui veramente, quante cose dovrebbero cambiare nella nostra vita! Gesù ha detto chiaramente a Nicodemo, e a noi, chi è Dio: «Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio, unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui. Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio». Cerchiamo di capirci, se ci riusciamo:

  • Dio non ama poco, ma tanto il mondo, e a chi non ci crede a questo, mostra la sua totale disposizione per noi, donando non una cosa, ma il suo Figlio.
  • Cosa ce ne facciamo di questo dono, quando avremmo bisogno di un po’ di salute, un po’ di lavoro, un po’ di benessere, un po’ di libertà, un po’ di serenità? Risposta: Vi dono il Figlioperché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna”. Sì, il guaio grosso della nostra società non è la recessione, il crollo del pil, la sospensione dell’anno scolastico o del campionato di calcio. Sopravviveremo anche a queste cose, e magari ripartiremo anche meglio. Il problema serio è l’andare perduti, cioè il fallire non tanto come professionisti, quanto il fallire come uomini e donne! A questo non c’è rimedio, a tutto il resto sì. Ecco Dio ha mandato il Figlio perché noi non andiamo perduti.
  • Ecco chi è Dio e cosa fa per noi: manda il Figlio nel mondo non per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui. Noi possiamo metterci tutto il nostro accanimento per distruggere il pianeta, per far finire la storia dell’umanità, per rovinarci con le nostre mani, e Dio fa di tutto per salvarci, da noi stessi prima di tutto.
  • Domanda: ma chi sta dentro in questa salvezza? Chi crede in Lui! E chi garantisce tutto questo? Lo Spirito Santo che rinnova la faccia della terra.
  • L’ultimo problema che nasce da questo dialogo tra Gesù e Nicodemo è una domanda imbarazzante, che il linguaggio politicamente corretto, così di moda anche all’interno della Chiesa, impedisce di pronunciare nelle chiese (mi permetto di porla, a costo di incorrere nelle ire di qualcuno). Ma il Vangelo non è spolpabile, non possiamo prendere del Vangelo quello che ci piace e quello che non rientra nei nostri ghiribizzi lo mettiamo da parte. Il Vangelo va preso così come è, al cento per cento. Dicevo che di fronte all’affermazione di Gesù nasce un’altra domanda: “ma chi non crede?”. Personalmente non ho una risposta da dare, se non quello che ha appena detto Gesù: “chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio”. Da chi è stato condannato? Non certo da un Dio vendicativo, ma da se stesso e dalle sue scelte prive di sapienza. Guardatevi attorno, provate a leggere i giornali, e vedete come tante cose negative che accadono nella nostra società sono il frutto di questa condanna, sono il frutto delle scelte prive di sapienza, perché “chi semina vento raccoglie tempesta”. È una legge di natura.

 

Dulcis in fundo

Se, in conclusione, dovessimo dire in poche parole “che cosa è la Trinità?”, potrei rimandarvi a quanto ci siamo detti in uno degli incontri di formazione permanente degli adulti del martedì sera sul web: i Padri della Chiesa per narrare la Trinità ricorrono all’immagine dell’albero (fatto di radici sottoterra, di tronco piantato per terra, di foglie in alto: tre cose diversissime, eppure tutte componenti l’unico albero) o del fiume (che ha una sorgente, un corso, una foce nel mare: tre tratti diversissimi, eppure è l’identico fiume). E quando il fiume si getta nel mare, questo ci offre una felice intuizione per cogliere chi siamo noi dentro il Mistero della Trinità. Lo esprimo con le parole di un grande poeta come Giacomo Leopardi, che nella sua poesia più famosa dice: “e il naufragar m’è dolce in questo mare”.