20 settembre 2020 – Tempo durante l’Anno XXV Domenica (anno A) – Don Samuele
Tempo durante l’Anno – XXV Domenica A – 20 settembre 2020
Sia lodato Gesù Cristo. Sempre sia lodato.
C’è una frase, risuonata oggi nel momento della Liturgia della Parola, che dà senso e spiega tutto quanto abbiamo ascoltato e che può averci sconcertato: “Per me infatti il vivere è Cristo e il morire un guadagno”. Come può dire un uomo che il vivere per lui sta in un’altra persona? Come può una persona normale dire che morire è un guadagno? È davvero un azzardo, o peggio, una follia.
Io ma non più io
Io farei fatica a dare una spiegazione di questo, che sia accettabile da tutti voi, ma c’è stato qualcuno che è riuscito meglio di me a chiarire. Papa Benedetto XVI, parlando al Convegno Ecclesiale della Chiesa italiana, a Verona, ha chiarito così per tutti i cristiani d’Italia: “la Chiesa … costituisce la primizia di questa trasformazione, che è opera di Dio e non nostra. Essa giunge a noi mediante la fede e il sacramento del Battesimo, che è realmente morte e risurrezione, rinascita, trasformazione in una vita nuova. È ciò che rileva San Paolo nella Lettera ai Galati: “Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me” (2, 20). È stata cambiata così la mia identità essenziale, tramite il Battesimo, e io continuo ad esistere soltanto in questo cambiamento. Il mio proprio io mi viene tolto e viene inserito in un nuovo soggetto più grande, nel quale il mio io c’è di nuovo, ma trasformato, purificato, “aperto” mediante l’inserimento nell’altro, nel quale acquista il suo nuovo spazio di esistenza. Diventiamo così “uno in Cristo” (Gal 3, 28), un unico soggetto nuovo, e il nostro io viene liberato dal suo isolamento. “Io, ma non più io”: è questa la formula dell’esistenza cristiana fondata nel Battesimo, la formula della risurrezione dentro al tempo, la formula della “novità” cristiana chiamata a trasformare il mondo. Qui sta la nostra gioia pasquale. La nostra vocazione e il nostro compito di cristiani consistono nel cooperare perché giunga a compimento effettivo, nella realtà quotidiana della nostra vita, ciò che lo Spirito Santo ha intrapreso in noi col Battesimo: siamo chiamati infatti a divenire donne e uomini nuovi, per poter essere veri testimoni del Risorto e in tal modo portatori della gioia e della speranza cristiana nel mondo” … io, ma non più io, è questo il segreto per capire, per accettare e per gioire del fatto che “i miei pensieri non sono i vostri pensieri, le vostre vie non sono le mie vie”, come ci ricordava il profeta Isaia nella prima lettura. Se non avviene questa trasformazione pasquale del cuore, al massimo possiamo dire: “Lui la pensa così, io la penso in modo diverso, ognuno si tiene il suo pensiero e tutti amici”. Solo la grazia trasformante del Battesimo ci fa dire: “il Signore sostiene che ‘i miei pensieri non sono i vostri pensieri, le vostre vie non sono le mie vie’. Ma i suoi pensieri sono migliori dei nostri, le sue vie sono perfette rispetto alle nostre”. Questo ci rallegra, altrimenti avremmo solo motivo di intristirci, perché sarebbe come vivere sotto una dittatura: comanda Lui, decide Lui, non sono ammesse contestazioni! Le dittature stanno da un’altra parte: ci illudono di essere liberi, in realtà i poteri occulti dei social, i poteri forti della politica, ci manovrano e ci plagiano, ci lasciano dire quello che vogliamo, tanto loro fanno tutto quello che vogliono. No, non è così, non deve essere così: con Dio la prospettiva è opposta: Lui ama più di noi, Lui sa più di noi, Lui si dona più di noi. Meglio abbracciare e adorare un Dio così che essere schiavi di qualsiasi uomo egoista, stolto, profittatore.
Un sindacalista o un padre?
Questa è la possibilità di scelta che oggi viene offerta alla nostra libertà: vogliamo un datore di lavoro schiavo delle tabelle sindacali o vogliamo un padre generoso? Voi preferireste lavorare sotto un padrone o sotto un padre? Preferireste un rigido e freddo burocrate o un amico buono? Preferireste vivere dentro un edificio di gelido gusto fascista o sovietico, o dentro una calorosa famiglia, dove tutti i papà e le mamme commettono ingiustizie con i figli, perché mica hanno a che fare con delle macchine, ma con delle persone, una diversa dall’altra, ognuna unica e irripetibile? Se la mettiamo così, scommetto che incomincia a risultarvi simpatico pure il padrone della parabola, per il quale prima avete provato antipatia, e del quale, istintivamente, tutti avete detto: “non è giusto pagare tutti allo stesso modo”. Ma ditemi onestamente, papà e mamme, voi trattate tutti i vostri figli alla stessa maniera? Voi che siete qui, avete la stessa relazione con i vostri amici? Io no. Quando in seminario mi dicevano che dobbiamo essere amici di tutti allo stesso modo, io mi sono sempre ribellato, e ho sempre dichiarato con orgoglio: “io sono cristiano, non comunista!”. Su questo mi sono confrontato anche con il Vescovo, Mons. Assi, che mi ha dato ragione. La Chiesa è una famiglia, non il palazzo della CGL, CISL e UIL. Ecco allora che il cuore della parabola, non sono i dettagli sugli orari di lavoro e sulla retribuzione – che tra l’altro è stata quella fissata con un contratto di lavoro vero e proprio. Ma il padrone della parabola – che raffigura Dio –, quando paga, straccia il contratto, perché Lui ragiona con il cuore. Il nocciolo dell’Evangelo di oggi non è una parabola, ma una domanda: “Sei forse invidioso perché io sono buono?”. È una domanda posta al tuo cuore: vuoi un Dio sindacale o un Dio pazzo di amore? Vuoi una fede ridotta al minimo indispensabile o una fede che ti comporta il massimo possibile? Vuoi amare con la misura del ditale o dell’infinito? Dio è disposto a sopportare anche le tue misure ristrette, i tuoi pensieri diametralmente opposti ai suoi, ed accetta la contestazione, dicendoti con molta chiarezza che le trattative si esauriscono alla svelta: “Amico, io non ti faccio torto. Non hai forse concordato con me per un denaro? Se vuoi un Dio meschino, come meschino è il cuore di tanti esseri umani, “Prendi il tuo e vattene. Ma io voglio dare anche a quest’ultimo quanto a te: non posso fare delle mie cose quello che voglio?”. A questo punto non c’è più niente da dire, perché la logica di Dio non fa una piega. Dio, tuttavia, coglie l’occasione per lanciarti un avvertimento: “gli ultimi saranno primi e i primi, ultimi”. In questo modo hai ancora una ultima occasione per ripensare e rivedere i tuoi punti di vista, per accorgerti che i suoi pensieri sono migliori dei tuoi, e tornano tutti a tuo vantaggio: Lui non ci guadagna e non ci perde niente. Non è Dio che ha bisogno di te, sei tu che hai bisogno di Lui.
“Come la fede nel Dio dal volto umano porti la gioia nel mondo”
L’effetto di una scelta di campo per Dio e per Gesù Cristo, l’ha bene illustrato Benedetto XVI sempre nel famoso discorso di Verona: “attraverso questa multiforme testimonianza della Chiesa, debba emergere soprattutto quel grande “sì” che in Gesù Cristo Dio ha detto all’uomo e alla sua vita, all’amore umano, alla nostra libertà e alla nostra intelligenza; come, pertanto, la fede nel Dio dal volto umano porti la gioia nel mondo. Il cristianesimo è infatti aperto a tutto ciò che di giusto, vero e puro vi è nelle culture e nelle civiltà, a ciò che allieta, consola e fortifica la nostra esistenza. San Paolo nella Lettera ai Filippesi ha scritto: “Tutto quello che è vero, nobile, giusto, puro, amabile, onorato, quello che è virtù e merita lode, tutto questo sia oggetto dei vostri pensieri” (4, 8). I discepoli di Cristo riconoscono pertanto e accolgono volentieri gli autentici valori della cultura del nostro tempo, come la conoscenza scientifica e lo sviluppo tecnologico, i diritti dell’uomo, la libertà religiosa, la democrazia. Non ignorano e non sottovalutano però quella pericolosa fragilità della natura umana che è una minaccia per il cammino dell’uomo in ogni contesto storico; in particolare, non trascurano le tensioni interiori e le contraddizioni della nostra epoca. Perciò l’opera di evangelizzazione non è mai un semplice adattarsi alle culture, ma è sempre anche una purificazione, un taglio coraggioso che diviene maturazione e risanamento, un’apertura che consente di nascere a quella “creatura nuova” (2 Cor 5, 17; Gal 6, 15) che è il frutto dello Spirito Santo”. Ecco, siamo partiti da una frase che sembrava paradossale, se non addirittura folle: “Per me il vivere è Cristo e il morire un guadagno. Spero, che, a questo punto, non vi sembri più pazzia, ma la cosa più normale e più sensata che possiamo fare nella vita, e quindi vi invito a credere e ad obbedire a quanto ci ha richiesto S. Paolo: “Comportatevi in modo degno del Vangelo di Cristo”.