OmelieOmelie Agosto 2020

30 agosto 2020 – Tempo durante l’Anno XXII Domenica (anno A) – Don Samuele

Tempo durante l’Anno – XXII Domenica A – 30 agosto 2020

 

Sia lodato Gesù Cristo. Sempre sia lodato.

 

Vi ricordate che Domenica scorsa vi avevo detto: “ricordatevi del Vangelo di oggi, perché poi, Domenica prossima, ne vedremo delle belle”. Vi avevo avvertito, che, dopo l’elogio sperticato a Pietro ed il potere enorme a lui conferito dal Signore, oggi avremmo ascoltato dalla bocca di Gesù, un cicchetto da levare il pelo al primo Papa: «Va’ dietro a me, Satana! Tu mi sei di scandalo, perché non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini!».  Ma come, se Domenica scorsa abbiamo sentito: “Tu sei la roccia, su te costruirò la mia Chiesa, le porte degli inferi non prevarranno …”. Come si spiega questo improvviso cambio di registro? Qualcuno potrebbe pensare che anche Gesù aveva sbalzi di umore, e non c’era troppo da pestargli i calli. La realtà è ben diversa.

 

Un conflitto atavico

Che vi sia una certa conflittualità nel rapporto tra uomo e Dio è normale e fisiologico. L’avevano sperimentato già i patriarchi di Israele: Giacobbe per una notte intera ha lottato con Dio al fiume Iabbok (Gen 32, 23-33) … pagina misteriosa ed eloquente. Ma anche i profeti, i grandi uomini di Dio, educatori del popolo di Israele, hanno vissuto questa lacerazione. La prima lettura di oggi ci ha offerto una delle pagine più intense di tutto l’antico Testamento. Il profeta Geremia a voce alta racconta la sua relazione con Dio: “Mi hai sedotto, Signore, e io mi sono lasciato sedurre; mi hai fatto violenza e hai prevalso”. Così abbiamo ascoltato. E che cosa ne ho ottenuto? Lo dice ancora Geremia: “Sono diventato oggetto di derisione ogni giorno; ognuno si beffa di me”. Lo zimbello! Potreste concludere che non ci si guadagna molto a stare dalla parte di Dio, lo confessa anche Geremia in un momento di sconforto: “Mi dicevo: «Non penserò più a lui, non parlerò più nel suo nome!». Ma alla fine, se ci si pensa bene, chi sta dalla nostra parte come Lui e più di Lui? Nessuno! Chi è capace di mettere fuoco nelle nostre vene, luce nei nostri occhi, speranza nei nostri cuori come Lui e più di Lui? Nessuno! Ecco che Geremia si arrende: “Ma nel mio cuore c’era come un fuoco ardente, trattenuto nelle mie ossa; mi sforzavo di contenerlo, ma non potevo”. La passione per Dio lo brucia e lo consuma. La passione, cioè la ferita di amore e la ferita di dolore, che è niente, rispetto a quello che Geremia ha trovato: “Mi hai sedotto, Signore, e io mi sono lasciato sedurre”. È fortissima e bellissima questa esperienza di seduzione di Dio e di arresa del profeta nei confronti di Dio. Auguro a tutti voi, di sperimentare la medesima seduzione, di vivere la stessa battaglia, di arrivare all’identica vittoria. Per riuscirci provate a pregare spesso con le parole del salmo 62, che abbiamo elevato un attimo fa a Dio come risposta a questa lettura, e che abbiamo fatto nostro anche come canto di inizio di questa liturgia: “O Dio, tu sei il mio Dio, dall’aurora io ti cerco, ha sete di te l’anima mia, desidera te la mia carne”.

 

Odi et amo

Anche tra Gesù e gli apostoli si manifesta la stessa dialettica, come ci ha bene narrato l’Evangelo di oggi. Appena eletto Papa, dopo la sua dichiarazione di fede in Gesù, Pietro deve fare i conti con un Signore che non era come si aspettava lui: Pietro voleva un Messia potente, forte, ben radicato nel comando uno che menava cazzotti il più possibile ai romani e li cacciava dalla Palestina: questo era il desiderio di tutti gli ebrei. Gesù dice con molta chiarezza come intende essere Signore e Messia: “soffrire molto da parte degli anziani, dei capi dei sacerdoti e degli scribi, e venire ucciso e risorgere il terzo giorno”. E Pietro non ci pensa due volte a chiamarlo in disparte per farlo ragionare. La stessa cosa l’avevano fatta i parenti di Gesù, capeggiati da sua madre. Non appena circolavano voci di disprezzo di Gesù e del suo operato, i suoi parenti cosa fanno? Vanno a cercarlo, vorrebbero proteggerlo, portarlo a casa. E in quella circostanza Gesù, senza mezzi termini, domanda: “chi è mia madre? Chi sono i miei fratelli? Chi fa la volontà di Dio è per me fratello, sorella, madre”. La parentela con Lui non è questione di anagrafe, ma di fede. Sua madre potrebbe contare niente, se non fosse una donna di fede! E così è per Pietro, il suo amico potrebbe contare niente: fino a quando ci sta ad aderire al disegno di Dio è roccia, sulla cui fede incrollabile si edifica la Chiesa e le porte degli inferi non prevarranno. Ma nel momento in cui Pietro non ragiona più da credente, ma semplicemente da uomo, quando non ci sta più a perdere la vita, nella logica di Dio, allora cambia completamente la sua posizione: «Va’ dietro a me, Satana! Tu mi sei di scandalo, perché non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini!». Questo si merita chiunque accantona il grande disegno amorevole di Dio per ripiegarsi sui meschini progetti umani. A questo punto la lezione non è più solo per Pietro, ma per tutti i dodici e per tutti quelli che avrebbero creduto grazie a loro.

 

L’amicizia con Cristo

Non ci sono dubbi, né equivoci, l’amicizia e la sequela di Gesù comportano una scelta radicale: «Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua». E se qualcuno si ostina a far finta di non capire, Gesù rincara la dose: “chi vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia, la troverà”. Siamo letteralmente agli antipodi rispetto ai gusti, agli interessi, alle aspirazioni del nostro mondo e del nostro tempo. È evidente che, se essere cristiani comporta una decisione tanto drastica, il numero dei cristiani crolla a picco. Perché fino a quando si tratta si tenere in vita alcune tradizioni – che a volte fanno ridere i polli – allora sono capaci tutti di essere cristiani. Ma se essere cristiani significa questa roba qui, allora è chiaro che tanti se ne vanno, perché chi ha voglia di perdere la vita? Quando si mette sul piatto della bilancia la proposta evangelica e gli stili di vita odierna, il piatto pende dalla parte opposta all’Evangelo. Però mi permetto una serie di domande: questa scelta opposta all’Evangelo, ci ha fatto più ricchi in umanità sì o no? L’avere abbandonato Cristo ci ha reso più felici sì o no? Ha accresciuto la nostra dignità? L’avere azzerato la fede e l’etica ha prodotto un salto di qualità evidente? Ha trasformato il mondo in un paradiso migliore di quello promesso dal Signore? Siamo onesti nel rispondere, perché, è vero, sono aumentati i saldi dei nostri conti correnti, se pensiamo ai nostri vecchi, i quali, poveretti, non avevano neanche uno spicciolo per tirare a campare, ma a che prezzo, soprattutto di giovani vite? A che prezzo? È vero, sono aumentati i divertimenti, ormai c’è gente che vive solo per divertirsi, ma è cresciuto il vuoto interiore e la decisione di mettervi fine, con gesti insani come il suicidio, o con un lasciarsi morire lento, annegati nei fiumi di droga che invadono le società occidentali. La fede in Gesù ha restituito dignità alle donne, agli schiavi, ai vecchi, ai malati, ai piccoli, agli umili … avete l’impressione che queste categorie, come tante altre, da quando Cristo è stato esiliato, abbiano maggiore rispetto? Io no! La perdita della fede e l’azzeramento dell’etica hanno vuotato le chiese, ma hanno riempito le carceri (ma vi rendete conto che di tanto in tanto bisogna promulgare degli indulti e mandare fuori migliaia di carcerati perché non sappiamo più dove metterli); hanno desertificato gli oratori, ma hanno fatto pullulare le comunità di recupero dei più svariati disagi: oramai quasi ogni paese non ha più l’oratorio, ma ha la comunità di recupero; il maledetto “vietato vietare” ha portato ad abbuffate di qualsiasi schifezza, ed ha accresciuto la solitudine, l’incapacità di amare, ha provocato l’inverno delle culle, ha reso le relazioni umane semplicemente – scusatemi la franchezza – rapporti animali. Ci siamo lasciati alle spalle le relazioni numane e viviamo di rapporti animali … non noi che siamo qui stamattina, evidentemente, il mio è un ragionamento generale. E tutte quelle realtà che avevano promesso un mondo migliore, dalla scienza alla politica, dal socialismo a tutte le ideologie, dalla tecnologia alle varie rivoluzioni culturali … siete proprio convinti che abbiano mantenuto le loro promesse?

 

Quanta sapienza nella grande questione che Gesù pone a tutte le persone e alla loro coscienza: “quale vantaggio avrà un uomo se guadagnerà il mondo intero, ma perderà la propria vita? O che cosa un uomo potrà dare in cambio della propria vita?”. Il problema è che in tutta la storia dell’umanità non si è mai verificato una volta sola il caso che un uomo riesca a guadagnare il mondo intero, al massimo qualche pezzo di mondo, qualche pezzo di terra, qualche pezzo di potere, qualche pezzo di prestigio. Ma il problema veramente serio è un altro: che guadagno è perdere la propria vita, la propria anima, la propria identità, che guadagno è perdere se stessi? Mi fa piacere vedere qui stamattina un certo numero di giovani, vorrei porre soprattutto a loro questa domanda: “ragazzi, che guadagno è perdere la vita? Che guadagno è perdere l’anima?” Gente, di vite ne abbiamo una sola, non esiste – come sulla macchina per la ruota – una vita di scorta o in sostituzione, e se abbiamo fallito il bersaglio della vita, non ne abbiamo un’altra per fare centro. Perdere la vita e basta è una catastrofe, ma perdere la vita per trovarla in Dio, è l’affare più vantaggioso che possiamo fare. Nessun altro “sta per venire nella gloria del Padre suo”, solo Gesù Cristo, e Lui ci dà una assicurazione: “renderà a ciascuno secondo le sue azioni”. Ricordiamocelo! Buttare via la vita non è solo un pessimo affare per l’oggi, ma anche una tragedia per il domani, perché il nostro futuro sarà esattamente la raccolta di ciò che abbiamo seminato e coltivato adesso. Chi semina e coltiva il niente, cosa raccoglierà nel suo orto? Il niente! E chi semina e raccoglie il tutto, cosa raccoglierà? Il tutto! Ecco allora la domanda finale che vorrei porre a tutti: “tu, cosa stai seminando, che cosa stai coltivando?”.

 

Spero che le tante domande affiorate in questa meditazione, ci costringano a cercare risposte credibili. Una, oltre che credibile, è fattibile, ed è quella che suggeriva Paolo nella seconda lettura odierna. Le prime righe del capitolo 12 della lettera ai Romani sono di una bellezza e di una ricchezza senza pari: “vi esorto a offrire i vostri corpi come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio; è questo il vostro culto spirituale. Non conformatevi a questo mondo, ma lasciatevi trasformare rinnovando il vostro modo di pensare, per poter discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a lui gradito e perfetto”. Esercitare un culto con la vita, più che con le parole, o con atti di culto, non adeguarsi alle mode, ma pensare con la propria testa – che grazia sarebbe se ognuno pensasse con la propria testa – e ragionare con il cuore di Dio. Credere che ciò che “è buono, a lui gradito e perfetto”, è decisamente di quello che possiamo stabilire noi. Auguro di cuore a tutti voi, di poter raccontare con Geremia questa grazia, di poter dire le stesse sue parole: “Mi hai sedotto, Signore, e io mi sono lasciato sedurre”.