Letture

Lettera del parroco ai malati

Carissimi ammalati,

sentendo molto la mancanza del nostro incontro settimanale del venerdì, desidero scrivere a voi che soffrite, per la malattia, la vecchiaia, “guai” cui si aggiunge anche un forzato isolamento. E, attraverso voi, vorrei raggiungere quanti sono in ospedale, e non è ancora possibile andare a trovare, quanti si sono ammalati in questo periodo, o per il coronavirus o per altre patologie altrettanto gravi. Ho nel cuore in particolare alcune situazioni di persone, per le quali mi è stata chiesta una preghiera insistente, perché la loro salute vacilla, e con essa è a repentaglio la loro vita e la loro famiglia. Vi scrivo attraverso il sito della Parrocchia perché non sono pratico di gruppi WhatsApp, un po’ più di comunità, e, in questo modo, vorrei invitare e coinvolgere tutta la comunità in una catena di preghiera che tutti vi abbraccia, e tutti vi consola.

Frequentando metodicamente le case dei malati da 36 anni, da quando sono stato ordinato prete, ho avuto modo di accostare, grazie a voi, molte cose fondamentali per la vita: l’arte della pazienza, la virtù della modestia, la gioia della fiducia, la grazia della gratitudine, il tesoro della sapienza, lo stupore per le piccole cose, mai scontate, perché sempre donate … vi ringrazio vivamente, perché, vestendo i panni dell’alunno, qualcosa ho imparato anch’io da voi tutti. Come dimenticare quella signora che, essendo non vedente, quando mi sono presentato, sapendo che le portavo la comunione, ha esclamato in dialetto: “oh, in casa mia il padrone del mondo!”; oppure quell’altra, a letto inferma da 17 anni, che, alla mia domanda, se non fosse ancora stanca – tentavo di sdrammatizzare –, mi ha risposto con un sorriso e con un dolcissimo “no!” … si chiamava Letizia: di nome e di fatto; oppure un’altra ancora, che ha voluto confessarsi, elencando tutti i peccati contenuti in un manuale di morale, e poi alla fine mi ha confidato a mezza voce “non ne ho fatto neanche uno, ma per sicurezza li ho detti tutti” … mi sono commosso davanti a tanto candore e raffinatezza di coscienza. Potrei andare avanti all’infinito a raccontare tanti ricordi di cui serbo grata memoria, ma, soprattutto dei malati della nostra Comunità Pastorale, non cito alcun episodio, per non metterli in imbarazzo. Vi ringrazio però della vostra squisita accoglienza e della vostra capacità di condividere con me le vostre gioie ed i vostri dolori. Mi fate sentire un po’ un “cireneo”, ma solo perché ho ancora le spalle un po’ più robuste delle vostre. Ecco perché mi manca molto il nostro incontro del venerdì mattina, nel quale mettiamo insieme il momento di fede – grazie alla comunione e alla preghiera –, ed anche un momento di intensa umanità, ricco di dialoghi, di confidenze, ed anche di gesti di tenerezza. Dio vi benedica per quello che siete e per la testimonianza che date.

Vorrei dire ai ragazzi e ai giovani: amate e stimate i vostri, i nostri anziani e ammalati, sono per voi e per noi una scuola di vita e di saggezza. Stando un poco con loro li aiutate a diventare un po’ giovani, e vi aiutate a diventare un po’ più maturi e responsabili. È un interscambio fecondo e prezioso.

Vorrei dire a tutti quelli che si occupano della loro assistenza, della loro salute, della loro cura: fatelo con amore e con gratitudine, nello spirito del Giuramento di Ippocrate che i medici sono tenuti a fare all’inizio dell’esercizio della loro missione. Per questo mi permetto di riportarlo qui, affinché tutti ce ne ricordiamo: “Consapevole dell’importanza e della solennità dell’atto che compio e dell’impegno che assumo,

GIURO:

  • di esercitare la medicina in libertà e indipendenza di giudizio e di comportamento;
  • di perseguire come scopi esclusivi la difesa della vita, la tutela della salute fisica e psichica dell’uomo e il sollievo della sofferenza, cui ispirerò con responsabilità e costante impegno scientifico, culturale e sociale, ogni mio atto professionale;
  • di non compiere mai atti idonei a provocare deliberatamente la morte di un paziente;
  • di attenermi nella mia attività ai principi etici della solidarietà umana, contro i quali, nel rispetto della vita e della persona non utilizzerò mai le mie conoscenze;
  • di prestare la mia opera con diligenza, perizia e prudenza secondo scienza e coscienza ed osservando le norme deontologiche che regolano l’esercizio della medicina e quelle giuridiche che non risultino in contrasto con gli scopi della mia professione;
  • di affidare la mia reputazione esclusivamente alle mie capacità professionali ed alle mie doti morali;
  • di evitare, anche al di fuori dell’esercizio professionale, ogni atto e comportamento che possano ledere il prestigio e la dignità della professione;
  • di rispettare i colleghi anche in caso di contrasto di opinioni;
  • di curare tutti i miei pazienti con eguale scrupolo e impegno indipendentemente dai sentimenti che essi mi ispirano e prescindendo da ogni differenza di razza, religione, nazionalità, condizione sociale e ideologia politica;
  • di prestare assistenza d’urgenza a qualsiasi infermo che ne abbisogni e di mettermi, in caso di pubblica calamità, a disposizione dell’Autorità competente;
  • di rispettare e facilitare in ogni caso il diritto del malato alla libera scelta del suo medico tenuto conto che il rapporto tra medico e paziente è fondato sulla fiducia e in ogni caso sul reciproco rispetto;
  • di osservare il segreto su tutto ciò che mi è confidato, che vedo o che ho veduto, inteso o intuito nell’esercizio della mia professione o in ragione del mio stato.

 

Si tratta di sentimenti altissimi e di un impegno nobilissimo. Se, a tali propositi, si somma quanto la rivelazione evangelica ci ha offerto, a proposito delle relazioni fondamentali, allora abbiamo la possibilità di vivere qualche frammento di Paradiso qui in terra. Il Signore Gesù ci ha, infatti, insegnato:Amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutta la tua mente. Questo è il più grande e il primo dei comandamenti. E il secondo è simile al primo: amerai il prossimo tuo come te stesso. Da questi due comandamenti dipende tutta la Legge e i Profeti” (Mt.22,37-40). Se ci pensiamo bene, l’amore di Dio, che ho colto e accolto tante volte nell’esperienza di voi malati, è la misura e la forza per l’amore verso il prossimo, soprattutto quando si trova nella condizione di dolore e di sofferenza. L’amore verso Dio esige necessariamente l’amore verso il prossimo. Pensate alla parabola del buon Samaritano, che racconta ciò che Dio fa di fronte ad ogni malato: se ne prende cura, “versa sulle sue ferite l’olio della consolazione ed il vino della speranza”, e si fa carico del suo presente e del suo futuro. Tale amore condiviso, nel pensiero e nella volontà di Cristo, costituisce il precetto nuovo della Legge Cristiana: “Vi do un comandamento nuovo: amatevi gli uni gli altri, come io vi ho amato” (Gv.13,34). Questo è non solo il precetto proprio di Gesù, ma anche la caratteristica che lo contraddistingue e lo innalza sopra chiunque: “Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri, come io ho amato voi” (Gv. 15,12). Questo è il segno di riconoscimento dei suoi seguaci: “In questo tutti riconosceranno che voi siete miei discepoli, se vi amerete gli uni gli altri ” (Gv. 13,35). Questa è la cartina di tornasole della nostra fede: “Se qualcuno dirà: io amo Dio, e odierà il suo fratello, è un mentitore!” (1 Gv. 4,20). Questa è la legge suprema sulla quale sarà giudicata l’umanità nell’estremo giudizio: “tutto quello che avete fatto al più piccolo dei miei fratelli lo avete fatto a me! … Venite, benedetti del Padre mio” (Mt.25).

Vi auguro di sperimentare queste parole come vere nella vostra vita, perché sono una medicina potente per lenire il dolore, per vincere la solitudine, per affrontare la stagione del decadimento, per sfidare persino il tramonto, e considerarlo come premessa di una splendida nuova aurora. Tutti insieme, nelle vostre case, voi costituite una piccola città del dolore, ma questa è anche una grande città dell’amore e della speranza, perché è una cittadella della fede. Insieme possiamo edificarla giorno dopo giorno, settimana dopo settimana, mese dopo mese, anno dopo anno.

Ci sono mattoni importanti che la nostra Comunità Pastorale vi offre per consentirvi questa edificazione:

  1. Un primo mattone è il nostro incontro mensile in casa vostra, che confido di poter riprendere al più presto. La sospensione di questi mesi è dettata da una forma di rispetto della vostra condizione: siete i più esposti al coronavirus ed i soggetti più fragili: non vorrei essere io a portarvi in casa qualche “ospite sgradito”. Pazientiamo ancora finché sarà necessario. Ci rifaremo degli appuntamenti mancati.
  2. Un secondo mattone è l’Università della terza età, che da alcuni anni portiamo avanti, e con la quale vorremmo impedire, a chi è anziano e ammalato, di dedicare tutto il suo tempo, le sue preoccupazioni, e le sue occupazioni, a parlare di esami, di terapie, di acciacchi, e a sostituire a questi pensieri funesti con qualche cosa di più interessante ed allegro.
  3. Un terzo mattone è la S. Messa mensile di guarigione, il primo venerdì di ogni mese, a Villa Pasquali, durante la quale preghiamo per i malati presenti e assenti, e compiamo quel gesto che Gesù ha indicato ai suoi discepoli: l’imposizione delle mani, per invocare lo Spirito che guarisce e risana, che rinnova la faccia della terra. Si tratta di un appuntamento significativo, che esprime a tutti l’invito a tenere vivo il ricordo e la preghiera per tutti coloro che soffrono, ed offre una medicina spirituale, perché Gesù è medico e medicina, Gesù guarisce, non idealmente, ma realmente.
  4. Un quarto mattone è la celebrazione annuale della giornata mondiale del malato, l’11 febbraio, quando, durante la S. Messa, celebriamo pure il Sacramento dell’Unzione degli Infermi, non l’Estrema Unzione, come veniva chiamato in passato, quando era, effettivamente, il sacramento dei moribondi. Oggi il cambio del nome la dice lunga su una rinnovata comprensione e proposta del Sacramento: è il Sacramento dei malati, che si può ricevere più volte, perché non segna il congedo per andare nell’altro mondo, ma un aiuto sacramentale per sopportare e portare le croci quotidiane in questo mondo.
  5. Ci sono poi quei tanti piccoli mattoni giornalieri: una parola, un sorriso, un abbraccio, una telefonata, la semplice domanda: “come sta?”, un’occhiata di complicità sana … sono i tanti modi per dirvi: “ti voglio bene!”. Mi auguro che di queste attestazioni ne abbiate tante, ma tante.

Vorrei proprio che a tutti i malati nelle loro case, negli ospedali, nella nostra casa di riposo, nelle varie RSA, giungesse il mio saluto, il mio abbraccio, il mio bacio di pace. Vorrei che tutti voi poteste sperimentare la tenerezza e la Provvidenza di Dio. Vorrei che la comunità cristiana vi facesse sentire tutta la sua stima, il suo calore, la sua vicinanza, la sua dedizione. E vorrei che si moltiplicassero a dismisura le persone che, da veri angeli custodi, possano illuminare e rasserenare le vostre giornate, le vostre vite.

Con questi sentimenti e atteggiamenti viviamo il presente ed il futuro che il Signore ci dà da vivere, e preghiamo il Risorto, che dia a tutti voi, conforto, consolazione, luce, calore, energia per il nostro oggi fugace, e per il nostro domani eterno. Per intercessione dei nostri patroni: Antonio, Giorgio, Girolamo, Sebastiano, e della Vergine Assunta nella gloria, Salus infirmorum, Dio vi benedica. Tutti abbiate la gioia degli anziani Simeone ed Anna che hanno potuto accogliere e stringere tra le braccia il bambino Gesù presentato al tempio; Egli tutti vi protegga, vi ricolmi della sua pace e della sua gioia.

Don Samuele

 

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