OmelieOmelie Dicembre 2019

8 dicembre 2019 – II Domenica di Avvento – Don Samuele

Sia lodato Gesù Cristo. Sempre sia lodato.

 

È appena iniziato l’Avvento, è da poco incominciato un nuovo Anno Liturgico, ed ecco che la Liturgia ci butta immediatamente nel vivo della questione.

La preghiera con cui abbiamo iniziato la celebrazione, la colletta, ci ha fatto chiedere al Signore non la conversione globale: un evento difficile e per qualcuno, forse, impossibile, ma il “desiderio di una conversione”, il che sarebbe già molto, dato che siamo immersi in un mondo disposto solo a cambiare la moda ed unicamente per un fine commerciale, vendere di più. Il solo “desiderio di conversione” dichiara una punta di tristezza e di insoddisfazione che ci portiamo dentro, una dose di nostalgia di paradiso, un bisogno – almeno latente – di un po’ di pulizia interiore, di innocenza di vita, di verità.

L’obiettivo, sempre secondo la colletta, è quello di arrivare alla “giustizia”, alla “mitezza”, diciamolo col linguaggio biblico, alla “shalòm”, cose tutte che non abbiamo inventato noi, anzi spesso abbiamo seppellito tali virtù. Vi possiamo arrivare semplicemente accogliendo ciò che l’Incarnazione di Dio ha fatto germogliare. Se questo è l’obiettivo, lasciamoci prendere per mano dagli amici che abbiamo elencato Domenica scorsa, e lasciamoci condurre da loro.

 

Il germoglio

Isaia pone davanti ai nostri occhi l’immagine di un vecchissimo e nodoso ulivo, che sembra essere un tronco secco e sterile, e, improvvisamente produce un germoglio, e su questa gemma si posa lo Spirito del Signore! Cosa quanto mai strana: cosa se ne fa un ramoscello dello Spirito di sapienza e di intelletto, di consiglio e di fortezza, di conoscenza e di timore del Signore? È evidente che si tratta di un simbolo: dalla antica e sterile radice di Israele Dio fa sbocciare il germoglio di un nuovo albero, Gesù Cristo. Su di Lui riposeranno tutte le caratteristiche dello Spirito di Dio: sapienza e intelletto, consiglio e fortezza, conoscenza e timore del Signore, e questo dimorare dello Spirito di Dio lo si coglierà dal fatto che egli non giudicherà persone o cose secondo le apparenze. Nell’Evangelo non troviamo mai una volta in cui Gesù dica “mi sembra”. Il suo è sempre un parlare chiaro, apodittico, autorevole. Egli non decide secondo i pareri delle maggioranze di turno, tanto da dichiarare “io ho vinto il mondo!”. Egli prende decisioni eque e giuste, dentro un mondo in cui la giustizia è una chimera, una parola scritta nelle aule dei tribunali, salvo poi il fatto che si dice che la giustizia è uguale per tutti, ma poi vi sono alcuni più uguali degli altri. Egli percuote il male con la spada della sua Parola, ed effettivamente l’Evangelo taglia e ferisce, ma sempre per risanare, come il bisturi del chirurgo.

Ecco che l’obiettivo di arrivare alla “giustizia”, alla “mitezza”, diciamolo col linguaggio biblico, alla “shalòm”, è raggiunto. E, a questo punto, il nostro amico profeta diventa poeta, cantandoci l’impossibile amicizia tra il lupo e l’agnello, tra il leopardo ed il capretto, tra il vitello ed il cucciolo di leone, tra la mucca e l’orsa, tra il leone ed il bue, tra i bambini e le vipere. Si tratta del mondo nuovo, inaugurato dal Messia di Dio, il mondo perfettamente riconciliato. Isaia vede il germoglio che diventa tanto alto da essere visto da tutte le nazioni, e tutti lo cercheranno con ansia. Isaia ci credeva che Gesù Cristo sarebbe diventato il riferimento e la bussola per tutti i popoli. E noi ci crediamo ancora che Gesù Cristo è tutto questo, cioè riferimento e bussola per noi, per le famiglie, per la scuola, per il lavoro, per la società, per la politica, per l’economia? Oppure noi cristiani abbiamo reso Gesù Cristo come l’aids, ovvero, “se lo conosci lo eviti”?

 

Senza speranza non si vive

Anche Paolo ci ricorda che tutto quanto è stato scritto e tramandato è per istruirci, educarci, aprirci gli occhi ed il cuore. E questo serve a tenere viva la speranza, senza la quale non si può vivere. E per non stare nel vago di una fede ridotta a generica credenza, Paolo ha pregato perché i credenti, noi, possiamo avere gli stessi sentimenti di Gesù Cristo: Lui incarnato in noi e noi incarnati in Lui, per accoglierci gli uni gli altri con la stessa capacità di accoglienza di Dio. E questo non è forse lo stesso sogno di Isaia, cioè la fraternità fra lupo e agnello, leopardo e capretto, mucca e orsa, bambino e serpenti velenosi? Noi possiamo e dobbiamo realizzare il sogno di Isaia … ma lo vogliamo?

 

I ruggiti del Battista

Oggi, a Matteo, si aggiunge un altro amico: Giovanni Battista, quello che odia il linguaggio politicamente corretto. Difatti Lui non ci ha invitato a “desiderare la conversione”, ma ci ha detto: “convertitevi!”. Ha parlato come un generale che dà ordini tassativi ai suoi soldati. Ed i soldati, cosa rispondono normalmente ad un ordine? Non certamente, “vediamo, … quando ne ho tempo, … se ne ho voglia”. Ad un ordine categorico si può rispondere solo “signorsì!”. E prima di pretenderla dagli altri, la conversione, Giovanni Battista la conversione la pretende da sé: non veste abiti firmati da uno stilista, ma peli di cammello. Non mangia come le persone normali, ma cavallette e miele selvatico, menù davvero poco consigliabile. Non cerca cose per sé, cerca la volontà di Dio, e questa, non è forse una splendida conversione? E la gente – che dovrebbe scansare un contestatore di coscienze tanto dirompente – invece va a cercarlo: Gerusalemme, tutta la Giudea, e tutta la riviera del Giordano accorrono, ci dice l’Evangelo. Si tratta di un fiume umano, che va a dichiarare i suoi peccati e a chiedere misericordia (posso sognare di vedere la stessa scena nei giorni precedenti il Natale, pensando a chi viene a chiedere misericordia nel Sacramento della Riconciliazione?). Ed ecco che risuona il linguaggio politicamente scorretto: “Razza di vipere! Come credere di poter sfuggire all’ira imminente? Fate vedere i frutti della conversione”. Se dovessi trattarvi una Domenica in questo modo, insultandovi, credo che la Domenica successiva potrei celebrare la Messa per i banchi e per le statue della chiesa. Ma non è finita, la filippica continua: Dio può trarre figli dalle pietre; la scure già si abbatte sugli alberi, sta per venire il Battesimo di fuoco, il Signore ha in mano il ventilabro per vagliare il bene ed il male, tenere il primo e buttare il secondo … altro che panettoni e pandori, cellulari o cinepanettoni!!! Il Natale che ci indica Giovanni Battista è un Natale ruvido, è un passaggio costoso e sofferto, è una battaglia contro se stessi, è la morte di un mondo da non rimpiangere ed è la nascita di un mondo che ha come modello e come centro Gesù Cristo. È la fine di un Evangelo e di una fede addomesticati, e dal vecchio ceppo di un cristianesimo di abitudine occorre far germogliare il virgulto di una fede di convinzione, di passione, di coerenza!

Ci crediamo ancora che questo è vero, che questo è necessario? che questo è l’unico futuro possibile?