2 febbraio 2020 – IV Domenica del tempo ordinario (anno A) – Festa della Presentazione al tempio di Nostro Signore – Don Samuele
Sia lodato Gesù Cristo. Sempre sia lodato.
Nelle ultime settimane, più volte abbiamo sentito pronunziare la parola “Epifania”, cioè manifestazione. Non si tratta solo di dare il nome al giorno del 6 gennaio, ma di esprimere i contenuti, ovvero le tre grandi manifestazioni iniziali di Gesù: ai Magi, nella grotta di Betlemme, al fiume Giordano durante il suo Battesimo, alle nozze di Cana, quasi ad annunciare il giorno delle nozze tra Dio ed il suo popolo. Oggi, celebrando il quarantesimo giorno dal Natale, celebriamo una ulteriore Epifania del Signore, umile e grandiosa.
Le diverse identità della festa odierna
Questa festa è stata identificata con nomi diversi. Anticamente si chiamava festa della Purificazione della Vergine Maria, ricordando una usanza tipica del mondo ebraico, ma durata anche nella nostra terra sino a non tanti anni fa: la donna che aveva partorito, soprattutto il primogenito, andava dai sacerdoti a farsi “purificare”, perché comunque l’atto sessuale era considerato qualcosa di peccaminoso, e la nascita di un figlio comportava perdita di sangue che “sporcava”. Nel mondo ebraico il toccare del sangue rendeva legalmente impuri. Con la riforma liturgica essa ha cambiato nome: Presentazione del Signore al tempio, assumendo una accentuazione più cristologica che mariana. Il testo evangelico che è risuonato oggi, alla luce delle prescrizioni veterotestamentaria, ci narra questo sacrosanto dovere di ogni coppia di genitori al momento della nascita del primogenito maschio. La Legge prevedeva che al quarantesimo giorno dalla nascita il bambino doveva essere portato al tempio per essere “riscattato”, grazie alla sostituzione della sua vita con un animale di grosso taglio, oppure con due colombi o due tortore, se la famiglia era povera. Questo gesto strano serviva a tenere viva nel popolo la memoria di ciò che aveva fatto Dio per Israele. Per liberare il suo popolo, Dio non aveva avuto riguardo ad uccidere tutti i primogeniti degli egiziani con la decima piaga d’Egitto, gesto estremo che aveva convinto il cuore duro del faraone a lasciare partire gli schiavi ebrei. In questo modo i primogeniti israeliti risparmiati dall’angelo sterminatore erano divenuti una sorta di proprietà di Dio, e così per “riprenderseli” i genitori sacrificavano animali. Il simbolo serviva a coltivare una grata memoria. Ma il senso di questa festa è ancor più spiegato dal nome con cui i fratelli della Chiesa d’oriente la identificano: Upapanth, ovvero Incontro.
L’ Upapanth
Sì è la festa dell’incontro tra Dio ed il suo popolo. Dio lo si incontra in molti modi: gli ebrei erano abituati alla preghiera più volte al giorno, recitando lo Shemà Israel, a tavola pronunciavano regolarmente le berakot, le benedizioni; ogni sabato si riunivano nella sinagoga per ascoltare la Parola di Dio e parlare a Lui con la voce dei salmi, ogni volta che mettevano in pratica i comandamenti e gli innumerevoli precetti della Thorà, sapevano di realizzare la volontà di Dio. Sono tutti incontri, ma uno era l’incontro per eccellenza e per antonomasia, quello che avveniva nel tempio di Gerusalemme, l’unico in tutto Israele, là dove, nell’edificio centrale, il Santo dei Santi, era custodita l’Arca dell’Alleanza, la cassa di legno rivestita d’oro dove erano custodite le tavole della legge di Mosè, insieme alle reliquie dell’Esodo, prima fra tutte la manna. Ebbene la venuta di Gesù nel tempio dischiara conclusa e inutile, ormai, l’attesa millenaria. Ora, in Lui, Dio lo si incontra non più in un edificio di pietre ma nel corpo di Gesù, il Verbo di Dio fatto carne, che rende inutile ogni altro mezzo. Questo Gesù lo spiegherà molto bene durante il suo processo, quando lo accuseranno di voler distruggere il tempio, Gesù risponderà: “Distruggete questo tempio ed in tre giorni lo farò risorgere”, affermazione che suscita molta perplessità, perché erano stati necessari 56 anni per costruire l’edificio, ma Giovanni specifica che Gesù parlava del tempio del suo corpo, ed alludeva, dunque, alla sua Resurrezione.
Un incontro di salvezza per due anziani
Dio, dunque, ha avuto cuore di incontrare il suo popolo, ma quel popolo, che quel giorno affollava il tempio, non ha cuore per incontrare Dio, chiuso come era nella prigione delle abitudini religiose, che avrebbero dovuto favorire l’incontro, ed invece lo ostacolavano. Solo due anziani, dice l’Evangelo, avevano questo cuore nuovo, erano otri nuovi capaci di accogliere il vino nuovo dello Spirito, Simeone ed Anna, sono gli unici due che vedono ciò che vedono tutti, ma colgono ed accolgono ciò che tutti gli altri ignorano. Questi due sono il fior fiore di Israele che attende di incontrare il Signore, ed hanno la gioia di vedere come Dio non rinnega mai le sue promesse e non tradisce mai le attese. Il Messia invocato ed atteso lo possono stringere tra le braccia. Ed abbiamo sentito le espressioni soprattutto di Simeone, in quel cantico che ripetiamo ogni giorno nella preghiera di compieta: Ora lascia, o Signore, che il tuo servo vada in pace: i miei occhi hanno visto la tua luce e la tua gloria nel bambino Gesù. È un vecchio dal cuore giovane, che diventa poeta, perché quando il cuore è innamorato diviene capace di poesia, e quando il cuore non è innamorato è arido come il deserto. Ecco come commenterebbe S. Agostino: “Così, quando ascolti: Nessuno viene a me se non è attratto dal Padre, non pensare di essere attratto per forza. Anche l’amore è una forza che attrae l’anima. Non dobbiamo temere il giudizio di quanti stanno a pesare le parole, ma sono incapaci d’intendere le cose di Dio; i quali, di fronte a questa affermazione del Vangelo, potrebbero dirci: Come posso credere di mia volontà se vengo attratto? Rispondo: Non è gran cosa essere attratti da un impulso volontario, quando anche il piacere riesce ad attrarci. Che significa essere attratti dal piacere? Metti il tuo piacere nel Signore, ed egli soddisfarà i desideri del tuo cuore (Sal 36, 4). Esiste anche un piacere del cuore, per cui esso gusta il pane celeste. Che se il poeta ha potuto dire: “Ciascuno è attratto dal suo piacere” (Virg., Ecl. 2), non dalla necessità ma dal piacere, non dalla costrizione ma dal diletto; a maggior ragione possiamo dire che si sente attratto da Cristo l’uomo che trova il suo diletto nella verità, nella beatitudine, nella giustizia, nella vita eterna, in tutto ciò, insomma, che è Cristo. Se i sensi del corpo hanno i loro piaceri, perché l’anima non dovrebbe averli? Se l’anima non avesse i suoi piaceri, il salmista non direbbe: I figli degli uomini si rifugiano all’ombra delle tue ali; s’inebriano per l’abbondanza della tua casa, bevono al torrente delle tue delizie; poiché presso di te è la fonte della vita e nella tua luce noi vediamo la luce (Sal 35, 8-10). Dammi un cuore che ama, e capirà ciò che dico. Dammi un cuore anelante, un cuore affamato, che si senta pellegrino e assetato in questo deserto, un cuore che sospiri la fonte della patria eterna, ed egli capirà ciò che dico. Certamente, se parlo ad un cuore arido, non potrà capire. E tali erano coloro che mormoravano tra loro. Viene a me – dice il Signore – chi è attratto dal Padre”, (Commento al Vangelo di Giovanni, Omelia 26,4). Simeone ed Anna hanno desiderato ed hanno chiesto, perciò hanno ricevuto.
Pedagogia del desiderio
Questo ci dà modo di riflettere un attimo sui desideri che albergano nel nostro cuore. Che cosa desideriamo? Che cosa inculchiamo nell’animo dei giovani come cosa desiderabile ed appetibile? Oggi molti desiderano cose valide quali la salute, un buon posto di lavoro, una crescita armoniosa dei figli, la pace nel mondo, la giustizia, il rispetto delle persone e della libertà … tutte cose rispettabilissime, ma tra i desideri della gente di oggi è quasi scomparso il desiderio di Dio. Il problema è che se desideriamo Dio, tutti gli altri desideri trovano giusta composizione, ma se manca il desiderio di Dio, tutto il resto diviene un castello di carte, che crolla al minimo soffio. Occorre educare e orientare i nostri desideri, non lasciarli galoppare selvaggi ed incontrollati, come ci ricorda molto bene S. Agostino: “L’anima mia esulterà nel Signore, come in Colui dal quale ha udito le parole: Io sono la tua salvezza, in quanto non cerca altre ricchezze all’esterno, non cerca di circondarsi di piaceri e di beni terreni; ma, gratuitamente amando il vero Sposo, non vuole ottenere da Lui ciò che possa darle piacere, ma aderire soltanto a Colui che è la sua gioia. Che cosa mi sarà dato infatti che sia migliore di Dio? Dio mi ama; Dio ti ama. Ecco, te l’ha proposto: chiedi ciò che vuoi 30. Se l’imperatore ti dicesse: Chiedi ciò che vuoi, come tu reclameresti dignità di tribuno e di conte! quante cose ti proporresti di ottenere e di elargire ad altri! A Dio che ti dice: Chiedi ciò che vuoi, cosa chiederai? Rifletti bene, dilata la tua avarizia, estendi il tuo desiderio, allarga la tua bramosia; non è uno qualunque, ma è Dio onnipotente che ti ha detto: Chiedi ciò che vuoi. Se ami le proprietà, desidererai tutta la terra, in modo che tutti coloro che ivi nascono siano tuoi coloni e tuoi schiavi. E quando sarai padrone di tutta la terra? Chiederai il mare, nel quale tuttavia non potrai vivere. In questa cupidigia i pesci avranno la meglio su di te. Ma forse diverrai padrone delle isole. Va al di là di tutto questo, chiedi anche l’aria, sebbene tu non possa volarvi; spingi la tua cupidigia fino al cielo, proclama che tuoi sono il sole, la luna, le stelle, dato che Colui che tutto ha creato ha detto: Chiedi ciò che vuoi; e tuttavia non troverai niente di più pregevole, niente di migliore di Quello stesso che tutto ha creato. Chiedi Colui che tutto ha fatto, ed in Lui e da Lui avrai tutto ciò che ha creato. Tutte le cose hanno gran valore, perché tutte sono belle; ma che cosa è più bello di Lui? Tutte le cose sono forti: ma che cosa è più forte di Lui? E niente vuole tanto donare quanto se stesso. Se troverai qualcosa di meglio, chiedila. Se chiederai qualcosa d’altro farai offesa a Lui e danno a te, anteponendo la sua opera a Chi l’ha fatta, mentre vuol darsi a te Egli stesso che l’ha creata. È in questo amore che a Lui ha detto un’anima: Ed ora questa mia parte sei tu, Signore 31, cioè tu sei la mia parte. Scelgano gli altri come possesso quello che vogliono, si facciano la loro parte delle cose: la parte mia sei Tu, e Te io ho scelto. Dice di nuovo: Il Signore è la porzione della mia eredità. Ti possegga dunque, affinché tu Lo possegga. Sarai la sua proprietà, sarai la sua dimora. Ti possiede per giovarti, è posseduto da te per giovarti”, (Esposizione sui salmi 34,I,12). Ed ancora: “Che cosa saremo dunque, allorché potremo godere questa visione? Che cosa ci è stato promesso? Saremo simili a lui, perché lo vedremo come è. La lingua non è riuscita ad esprimersi meglio, ma il resto immaginatelo colla mente. Che cosa sono le rivelazioni di Giovanni messe a confronto con Colui che è? Che cosa possiamo esprimere noi che siamo creature assolutamente impari alla sua grandezza? Torniamo adesso a parlare della sua unzione, di quell’unzione che insegna interiormente ciò che a parole non possiamo esprimere. Non potendo voi ora vedere questa visione, vostro impegno sia desiderarla. La vita di un buon cristiano è tutta un santo desiderio. Ma se una cosa è oggetto di desiderio, ancora non la si vede, e tuttavia tu, attraverso il desiderio, ti dilati, cosicché potrai essere riempito quando giungerai alla visione. Ammettiamo che tu debba riempire un grosso sacco e sai che è molto voluminoso quello che ti sarà dato; ti preoccupi di allargare il sacco o l’otre o qualsiasi altro tipo di recipiente, più che puoi; sai quanto hai da metterci dentro e vedi che è piccolo; allargandolo lo rendi più capace. Allo stesso modo Dio con l’attesa allarga il nostro desiderio, col desiderio allarga l’animo e dilatandolo lo rende più capace. Viviamo dunque, o fratelli, di desiderio, poiché dobbiamo essere riempiti. Ammirate l’apostolo Paolo che dilata le capacità della sua anima, per poter accogliere ciò che avverrà. Egli dice infatti: Non che io abbia già raggiunto il fine o che io sia perfetto; non penso di avere già raggiunto la perfezione, o fratelli (Fil 3, 12-13). Ma allora che cosa fai, o Paolo, in questa vita, se non hai raggiunto la soddisfazione del tuo desiderio? Una sola cosa, inseguire con tutta l’anima la palma della vocazione celeste, dimentico di ciò che mi sta dietro, proteso invece a ciò che mi sta davanti (Fil 3, 13-14). Ha dunque affermato di essere proteso in avanti e di tendere al fine con tutto se stesso. Comprendeva bene di essere ancora incapace di accogliere ciò che occhio umano non vide, né orecchio intese, né fantasia immaginò. In questo consiste la nostra vita: esercitarci col desiderio. Saremo tanto più vivificati da questo desiderio santo, quanto più allontaneremo i nostri desideri dall’amore del mondo. Già l’abbiamo detto più volte: il recipiente da riempire deve essere svuotato. Tu devi essere riempito di bene: liberati dunque dal male. Supponi che Dio ti voglia riempire di miele: se sei pieno di aceto, dove metterai il miele? Bisogna gettar via il contenuto del vaso, anzi bisogna addirittura pulire il vaso, pulirlo faticosamente coi detersivi, perché si presenti atto ad accogliere questa realtà misteriosa. La chiameremo impropriamente oro, la chiameremo vino. Qualunque cosa diciamo intorno a questa realtà inesprimibile, qualunque cosa ci sforziamo di dire, è racchiuso in questo nome: Dio. Ma quando lo abbiamo pronunciato, che cosa abbiamo pronunciato, che cosa abbiamo detto? Sono forse queste due sillabe tutto quel che aspettiamo? Qualunque cosa dunque siamo capaci di dire, è al di sotto della realtà: dilatiamoci col desiderio di lui, cosicché ci possa riempire, quando verrà. Saremo infatti simili a lui, perché lo vedremo così com’è”, (Commento alla Prima Lettera di Giovanni, Omelia 4,6).
La giornata della vita
Ma oggi la Chiesa italiana celebra pure la giornata per la vita, come ogni prima Domenica di febbraio. Lo fa da quasi 50 anni, cioè da quando nella legislazione italiana è stato depenalizzato il reato di aborto, chiamato con un nome più innocuo: interruzione di gravidanza. Il cambio della legge ha provocato un radicale cambio di mentalità: un abominevole delitto, tale è l’aborto, è diventato un diritto urlato, reclamato, considerato un segno di modernità. E così assistiamo quasi impotenti a fenomeni grotteschi, quali l’ipocrita piangisteo collettivo per la giornata della memoria, con patetiche cerimonie al Quirinale ed ovunque, per deplorare – giustamente – l’eccidio degli ebrei nei campi di sterminio, solo che le legislazione dei paesi europei, che gradualmente si sono allineate al politicamente corretto hanno prodotto altro che 6 milioni di morti, i dati parlano di decine di milioni di bambini innocenti ammazzati crudelmente nel grembo delle loro madri. Al loro confronto Hitler appariva quasi come un boy scout, anche perché lui ammazzava dei suoi nemici – il che non è certamente giustificabile –, qui si ammazza carne della propria carne e sangue del proprio sangue, il che si ribella alla natura stessa, ma viene salutato come un segno avanzato di modernità, e vengono considerati oscurantisti coloro che difendono la vita. Non solo, stanno pure preparando un tipo di legislazione che, entrata in vigore, renderà punibile chi dice ciò che sto dicendo, e torneremo al reato di opinione, mentre si sta facendo un’opera scientifica di lavaggio del cervello e di rieducazione delle coscienze, così che le giovani generazioni siano più facilmente plagiabili. Ma noi cristiani non possiamo, non vogliamo, non dobbiamo tacere, anche a costo di pagare di persona la difesa della vita e la proclamazione della nostra identità di popolo della vita. Ho perciò la gioia di annunziare che, a breve, verrà aperto uno sportello all’Oglio Po, dove persone volontarie, che si sono adeguatamente preparate, si rendono disponibili ad ascoltare e ad accompagnare donne che stanno pensando di sopprimere la loro creatura. Riusciamo benissimo a comprendere tutte le difficoltà, ma rivendichiamo pure con orgoglio che tutti i centri di aiuto alla vita, i consultori familiari, sono stati voluti da cristiani, in risposta a bisogni e povertà presenti nella società. Il Signore ci dia la grazia di credere nella vita, di amare la vita, di proteggerla e di promuoverla sempre, perché è dono di Dio e porta per incontrare Lui e vivere di Lui, per sempre.