OmelieOmelie Settembre 2020

13 settembre 2020 – Tempo durante l’Anno XXIV Domenica (anno A) – Don Samuele

Tempo durante l’Anno – XXIV Domenica A – 13 settembre 2020

 

Sia lodato Gesù Cristo. Sempre sia lodato.

 

Appena abbiamo sentito le parole del libro del Siracide e dell’Evangelo di Matteo, scommetto che abbiamo pensato o detto: “che bello! È una proposta meravigliosa, il mondo diventerebbe un paradiso se tutti fossimo capaci di perdonare settanta volte sette…”. Vero! Ma l’entusiasmo e l’incanto dura fino a quando qualcuno non ti pesta i piedi. Fino a quando il discorso è generico va bene, ma quando ci si è dentro in prima persona! Fino a quando il perdono ci sfiora, è poesia, ma quando entra nella nostra carne, come una esigenza divina improrogabile, allora cominciamo a fare dei distinguo.

 

Non un problema di fare ma di essere

Il problema è che queste pagine della Scrittura non hanno prima di tutto lo scopo di dirci cosa dobbiamo fare noi, ma di raccontarci che cosa fa Dio nei nostri confronti. Lui non è il Dio della vendetta, al massimo della medicina amara. Lui non è il Dio del rancore, ma della memoria, o meglio, del memoriale, perché il suo criterio e la sua regola è questa, lo dice S. Paolo: “Dove ha abbondato il delitto, ha sovrabbondato la grazia!” (Rm. 5, 20). Questa è la chiave di lettura dei testi che abbiamo ascoltato, che ci ha fornito il bellissimo salmo 102, che abbiamo cantato all’inizio della celebrazione, e pregato in risposta alla prima lettura. Ecco, prima di preoccuparci di fare la conta di quante volte abbiamo perdonato e di quante volte no, prima di stabilire se siamo più inclini alla vendetta o propensi al perdono, oggi siamo chiamati a contemplare un Dio che il settanta volte sette lo mette in pratica, sempre e con tutti. Perché è Dio e non è un uomo. Quindi non da me, come da nessun altro predicatore, può uscire una proposta del genere, ma solo da Lui, perché Lui è così! Per Lui “Rancore e ira sono cose orribili”; Lui “Perdona l’offesa al … prossimo; Lui … ha misericordia per l’uomo” anche se l’uomo non è proprio suo simile, ma sua immagine e somiglianza. Alla fine della contemplazione scatta però la domanda naturale: “che cosa dobbiamo fare?”, e la pagina del libro del Siracide che abbiamo ascoltato come prima lettura è stata categorica: “Ricòrdati della fine e smetti di odiare, ricordati della dissoluzione e della morte e resta fedele ai comandamenti”. Lo so che non è simpatico da dire, ma questa è la sacrosanta verità: nessuno di noi ha la garanzia di arrivare a sera. La fine può essere imprevista ed imprevedibile, e pensando che la vita passa, che la morte è certa, e ancora più certa è l’eternità, è veramente saggio e veramente confortante poter dire: “smetti di odiare… cosa ci guadagni? Non ti accorgi che ti rovini la salute e magari non ottieni nulla?”. Abbiamo una manciata di giorni da vivere, ma dobbiamo viverli nella tristezza dell’odio, della cattiveria, del rancore, del sangue guastato … per che cosa? Piuttosto “Ricorda i precetti e non odiare il prossimo”, ricorda “l’alleanza dell’Altissimo e dimentica gli errori altrui”. Siamo tutti così esperti nel trovare e nel correggere gli sbagli altrui. Se fossimo altrettanto bravi, ognuno a correggere se stesso, il mondo diventerebbe proprio un paradiso in poche ore! Torniamo a crederci, ed il miracolo avviene.

 

Dopo l’essere il fare

Che cosa dobbiamo fare?”, ci siamo chiesti un momento fa. È esattamente ciò che Pietro ha domandato a Gesù: «Signore, se il mio fratello commette colpe contro di me, quante volte dovrò perdonargli? Fino a sette volte?». Mettiamoci per un momento tutti nei panni di Pietro: chiunque di noi si sentirebbe un eroe, se riuscisse a perdonare 7 volte consecutive alla stessa persona, lo stesso giorno. Ma tra fratelli e sorelle, tra marito e moglie, tra colleghi … sette volte di fila in un giorno perdonare!!! Anzi, ci pare pure una cosa esagerata, perché pure in seminario mi hanno insegnato: “ragazzi, buoni sì, fessi no!”. Il problema è che Pietro ragiona nella logica del minimo indispensabile, mentre Dio nella logica del massimo possibile. L’uomo è più incline a piantare paletti e confini, persino all’amore, ma Dio dilata l’amore all’infinito. La parabola è chiarissima: il Signore, il Re è disposto a perdonare un debito grandissimo al servo, e questo stesso servo non è disposto a condonare un debito piccolissimo ad un altro servo. C’è un abisso tra il cuore dei due, e, proprio perché non è stupida la regola “buoni sì, fessi no!”, il Signore, che all’inizio ha dimostrato una misericordia enorme, alla fine applica la pura giustizia e basta, perché questo ha fatto il servo con l’altro servo. Non ha capito niente, o meglio, non ha voluto capire niente. Questo servo ha dimostrato chiaramente che a lui la misericordia non interessa (o interessa solo se c’è di mezzo lui), gli basta la giustizia, e allora la giustizia si ritorce contro di lui, e quindi andrà in galera finché non avrà ripagato il debito enorme. È una parabola che ci dice con molta chiarezza: “gente, sveglia! Se non vi fate imitatori della misericordia di Dio, scordatevi di poter implorare misericordia da Dio. Se Dio vi usa misericordia è per educarvi alla misericordia, è perché vuole plasmarvi e trasformarvi in misericordia. La giustizia è troppo poco, è il minimo sindacale, ma l’amore fa ben di più e molto meglio!”.

 

La testimonianza di Martin Luther King

Domanda: volete essere così anche voi? Non dite che è impossibile, c’è gente che vi è riuscita. Martin Luther King scriveva: “Ai nostri più accaniti oppositori noi diciamo: Noi faremo fronte alla vostra capacità di infliggere sofferenze con la nostra capacità di sopportare le sofferenze; andremo incontro alla vostra forza fisica con la nostra forza d’animo. Fateci quello che volete e noi continueremo ad amarvi. Noi non possiamo in buona coscienza, obbedire alle vostre leggi ingiuste, perché la non cooperazione col male è un obbligo morale non meno della cooperazione col bene. Metteteci in prigione e noi vi ameremo ancora. Lanciate bombe sulle nostre case e minacciate i nostri figli e noi vi ameremo ancora. Mandate i vostri incappucciati sicari nelle nostre case nella notte (ricordate il Ku Klux clan), batteteci e lasciateci mezzi morti e noi vi ameremo ancora. Ma siate sicuri che noi vi vinceremo con la nostra capacità di soffrire. Un giorno noi conquisteremo la libertà, ma non solo per noi stessi: faremo talmente appello al vostro cuore ed alla vostra coscienza che alla lunga conquisteremo voi e la nostra vittoria sarà una duplice vittoria. L’amore è il potere più duraturo che vi sia al mondo”.  Sono parole scritte ad un giornale, dopo che gli avevano picchiato moglie e figli e bruciato la casa, e sono confluite nel libro intitolato “La forza di amare”. Sì, forza, perché l’amore non è sentimento e basta, l’amore non è istinto e basta – anche se oggi tutto tenta di convincerci che è così … siamo poco più delle bestie –, l’amore non è avventura e basta, l’amore non è usarsi, come se fossimo un elettrodomestico o un giocattolo, e quando si rompe lo si butta via. È un’idea maledetta: “provo” … che cosa provo? Le persone? Ma si provano i pantaloni se sono larghi o stretti in un negozio di abiti, mica provo una persona. Quello non è amore, è il massimo dell’egoismo e dell’odio. Ditelo ai nostri ragazzi e ai nostri giovani, ditelo! L’amore è forza, è virtù, è eroismo, è santità, cioè è differenza: è decidersi ad amare non con le meschine misure umane, ma con le infinite misure di Dio. Questo è l’amore

 

Vivere e morire per il Signore

Ce lo ricordava con forza S. Paolo nella 2 lettura: “nessuno di noi vive per se stesso e nessuno muore per se stesso, perché se noi viviamo, viviamo per il Signore, se noi moriamo, moriamo per il Signore. Sia che viviamo, sia che moriamo, siamo del Signore”. Se smettiamo di credere a questa sacra verità, non stupiamoci della cronaca quotidiana, non stupiamoci se un branco ammazza di botte un ragazzo intervenuto solo a cercare di far finire una rissa scoppiata per un apprezzamento fuori luogo. Hanno fatto il funerale ieri, e tutte le settimane ce n’è uno. La nostra salvezza sta nel recuperare la fede: “Sia che viviamo, sia che moriamo, siamo del Signore”. E a questo serve l’Oratorio, oggi è la Domenica della festa dell’Oratorio: offrire una esperienza globale, a 360°, dove si sperimenta che l’umanità – e le sue varie espressioni (gioco, sport, amicizia) – non è nemica della fede; e la fede in tutte le sue espressioni (preghiera, catechesi, vita evangelica) non è nemica dell’umanità. Guai se l’Oratorio diventasse semplicemente un cortile dove tirare calci ad un pallone e quando vi fosse una proposta di preghiera o di riflessione vi fosse il fuggi fuggi (come capita a Rivarolo del Re o a Casalmaggiore o a Viadana, non a Sabbioneta) … perché ridete? Guai se l’oratorio fosse solo una scuola di catechismo ed evitasse di nutrire di fede le tante esperienze umane: il teatro, la musica, lo sport, il gioco, l’amicizia. Guai se in genitori e ragazzi si creasse la mentalità che all’oratorio ci si va solo fino a quando c’è bisogno della baby sitter, poi quando si comincia ad essere minimamente autonomi allora è meglio la strada, perché almeno lì non c’è un educatore che, all’occorrenza, ti sa dire una parola da amico, ed anche da educatore, se occorre. Guai se ci beassimo di alcune attività che appagano l’occhio, e magari provocano anche qualche tachicardia alle nonne, ma avessimo il deserto di ragazzi alla Messa della Domenica. Questa sarebbe una tragedia irreparabile: il deserto di ragazzi alla Messa della Domenica. Dobbiamo pensarci a questo, e dobbiamo avere a cuore questo momento prezioso, perché senza Gesù Cristo siamo perduti, senza di Lui come amico, ben piantato nel cuore dei nostri ragazzi, noi provocheremmo la loro infelicità esistenziale, e li renderemmo i più poveri tra i poveri, anche se hanno i vestiti firmati: i più poveri tra i poveri senza Cristo! … Beati noi se avremo intelligenza per discernere ciò che vale; beati noi se saremo dotati di intraprendenza nel proporlo con le parole e soprattutto con gli esempi; beati noi se costruiremo una alleanza educativa tra famiglia e parrocchia; beati noi se avremo sempre come compagno di viaggio, come esperto in educazione, l’amico e Signore Gesù Cristo, perché “Sia che viviamo, sia che moriamo, siamo del Signore”.