13 dicembre 2020 – III Domenica dell’anno liturgico B – Don Samuele
Tempo di Avvento – III Domenica dell’anno liturgico B – Gaudete
13 dicembre 2020
Sia lodato Gesù Cristo. Sempre sia lodato.
Questa terza Domenica di Avvento ha un nome bellissimo: “Gaudete”, che vuole
dire: gioite, rallegratevi, fate festa, “siate sempre lieti”, diceva Paolo nella 2 lettura di oggi.
Sono convinto che piace a tutti questo suggerimento, ma dobbiamo stare molto attenti,
perché come ci ricordano i nostri Vescovi, nel documento che stiamo approfondando ogni
martedì sera nella formazione permanente degli adulti, “In questa situazione è possibile
che il giorno della festa perda il suo significato cristiano originario per risolversi in un
giorno di puro riposo o di evasione, nel quale l'uomo, vestito a festa, ma incapace di fare
festa finisce con il chiudersi in un orizzonte tanto ristretto che non gli consente più di
vedere il cielo”. Sono le parole dei nostri Vescovi, di grande lucidità, un grande campanello
di allarme per evitare di impoverire questa dimensione fondamentale della vita. Eh sì, ci si
può mascherare per la festa, ma si può contemporaneamente avere il cuore vuoto ed
arido, che urla solitudine e disperazione. Ed, allora, lasciamoci aiutare oggi dal Signore a
ritrovare la radice e la verità della festa, della gioia.
La festa cosmica di Isaia
Il 1° aiuto ci viene da Isaia, che, nella prima lettura di oggi, ha innalzato la sua voce
di festa perché lo Spirito del Signore non se ne sta nei cieli, a cullarsi nella sua
beatitudine, ma scende sulla terra, sopra il Messia e lo manda non a fare delle feste, ma
ad essere festa, perché Egli deve portare “il lieto annuncio ai miseri”, deve fasciare “le
piaghe dei cuori spezzati”, deve proclamare “la libertà degli schiavi, la scarcerazione dei
prigionieri”, deve promulgare “l’anno di grazia del Signore”. Il Messia non organizza feste,
perché il mondo e la vita non sono un villaggio vacanze. La vita è una “valle di lacrime”,
quante volte lo diciamo nella Salve Regina, e la festa non è un godimento ed uno sballo
personale, ma la festa vera è la dedizione ad una causa: fare felici quelli che soffrono;
rinnovare il mondo e distruggere i meccanismi perversi che lo trasformano nella città del
dolore, anziché nella “civiltà dell’amore”. Felici insieme, non da soli, in una solitudine che
ci sta uccidendo. Ecco questo tipo di festa, per la gioia di una umanità intera, è
paragonabile ad una festa di nozze, dice ancora il profeta: “come uno sposo si mette il
diadema e come una sposa si adorna di gioielli”; o ad una terra arida che rifiorisce: “come
un giardino fa germogliare i suoi semi, così il Signore Dio farà germogliare la giustizia e la
lode davanti a tutte le genti”. Quanto dovrebbero far riflettere tutti, queste parole del
profeta, perché la società odierna sta travisando il senso della festa: da momento di gioia
per Dio l’ha ridotta a momento di gozzoviglie per l’uomo; da momento di gioia per tutti gli
uomini l’ha ridotta a momento di spreco per pochi privilegiati; da momento di riscatto dalle
ingiustizie l’ha ridotta a momento di crescita delle ingiustizie e delle prepotenze. Per
favore, non chiamiamo più festa ciò che è inganno; per favore, torniamo a chiamare le
cose con il loro nome, e a trasformare le profezie di Isaia in occasione di festa vera, ma
per tutti!
Sempre lieti
Un ulteriore aiuto ci viene da S. Paolo, che ha una capacità incredibile di volare
alto, per scrutare il Mistero di Dio, tanto quanto di volare raso terra, per offrirci indicazioni
di vita, di rara sapienza e concretezza. Se noi gli domandassimo: “Paolo, come si fa ad
essere “sempre lieti”, visto che ci hai chiesto di essere così?”. “Semplicissimo”, ci
risponde: “pregate ininterrottamente, in ogni cosa rendete grazie: … Non spegnete lo
Spirito, non disprezzate le profezie. Vagliate ogni cosa e tenete ciò che è buono.
Astenetevi da ogni specie di male”. Ma chi non è capace di fare queste cose? Aveva
proprio ragione una mamma quando diceva al suo bambino: “Ricordati: tutto ciò che è
cattolico non è stupido, e tutto ciò che è stupido non è cattolico” … era la mamma del
piccolo Joseph Ratzinger, che, una volta diventato Papa, ha detto al mondo queste parole
di una mamma, che sono dio una sapienza incredibile, e che riassumono molto bene il
messaggio della seconda lettura di oggi. A questi consigli grondanti di buon senso che
scaturisce dalla fede, Paolo aggiunge: “tutta la vostra persona, spirito, anima e corpo, si
conservi irreprensibile per la venuta del Signore nostro Gesù Cristo”. Per secoli e millenni
noi cristiani abbiamo vissuto la festa con un criterio primo e principale su ogni altro:
“essere in grazia di Dio”. Quando io ero bambino e si avvicinavano le feste ce lo dicevano i
nostri genitori, i nostri educatori: “vai a confessarti, perché a Natale, a Pasqua, bisogna
essere in grazia di Dio”, così mettevano in pratica quanto chiede l’apostolo: “tutta la vostra
persona, spirito, anima e corpo, si conservi irreprensibile per la venuta del Signore nostro
Gesù Cristo”. Le file ai confessionali nella vigilia delle feste sono ormai un lontano ricordo.
La società consumistica ci ha distolto da questa irreprensibilità, da questo amore per
essere in grazia di Dio, per cui le file non le troviamo ai confessionali ma si vedono da
Harrods a Londra, ai grandi centri commerciali quando lanciano un nuovo modello di
cellulare, di tablet, di play station … aprono alle 8,? C’è gente che alle 5 del mattino è già
là, anzi, qualcuno si prepara la sera prima per arrivare ad arraffare, e quanti sono convinti
di fare festa così, ma siamo lontani anni luce dal rinnovamento sociale proposto da Isaia o
dal rinnovamento interiore suggerito da Paolo!
In festa con il Battista
L’ultimo aiuto per vivere la festa, cioè per essere festa, ce lo offre Giovanni Battista,
che l’Evangelista Giovanni descrive come “uomo mandato da Dio … testimone per dare
testimonianza alla luce”. È una foto sfuocata e generica, ma quando si tratta di scendere
nei particolari, Giovanni l’Evangelista usa una tecnica molto particolare: per dire ciò che è
Giovanni dice ciò che non è – scusate il gioco di parole. Se dovessi usare il linguaggio
della filosofia direi che Giovanni descrive l’essere con il non essere. Concretamente: “Non
era lui la luce”, e quando sacerdoti e leviti gli domandano esplicitamente: “chi sei?”
Risposta: “Io non sono il Cristo”. Avanti con le domande: “Chi sei, dunque? Sei tu Elia?”.
“Non lo sono!”. “Sei tu il profeta?”, “No”. “Chi sei? … Che cosa dici di te stesso?”. Udite,
udite: “Io sono voce di uno che grida nel deserto”. La festa, per il Battista è ritirarsi e fare
spazio a qualcuno; la festa non è il palcoscenico dove esibirsi, ma l’amore come spazio in
cui donarsi; la festa è l’umiltà di essere solo una voce, per far brillare Colui che è la Parola
fatta carne; la festa non è ostentazione di protagonismo, ma amicizia dello sposo, è Lui il
protagonista del mondo nuovo. Il personaggio che ci presenta l’Evangelista Giovanni è un
Battista tranquillo, che non lancia strali, che non grida messaggi di fuoco, come abbiamo
sentito Domenica scorsa da Marco, ma con questo linguaggio enigmatico, con questo suo
dire e non dire, con l’affermare negando, ed il negare affermando, il Battista costringe tutti
a pensare, induce tutti a rientrare in se stessi, obbliga tutti a porsi domande, impone a tutti
la necessità di trovare risposte, non nelle apparenze, ma nella sostanza; non nel chiasso e
nello stordimento, ma nella interiorità e nella spiritualità. Pensate a quanto queste
considerazioni forzano il nostro modo di fare festa, ci strappano dalla semplice evasione, e
ci chiedono con forza di non accontentarci di essere “vestiti a festa, ma incapaci di fare
festa”, sono ancora le parole dei nostri Vescovi. Ci supplicano di non chiuderci in un
orizzonte tanto ristretto che non ci consente più di vedere il cielo.
I testimoni ed i maestri
Lasciamoci trafiggere dalla provocazione del Battista che disse allora, e dice oggi:
“In mezzo a voi sta uno che voi non conoscete, colui che viene dopo di me: a lui io non
sono degno di slegare il laccio del sandalo”. Il precursore ci ricorda che Cristo, allora
come oggi, è il grande sconosciuto, il grande esiliato, e non solo perché nelle scuole
magari è proibito fare il presepe e imbastire una recita che rappresenta la natività, ma
perché, soprattutto, Gesù Cristo non sta più nelle preoccupazioni e nelle occupazioni di
tanta gente; Gesù non è più l’oggetto dei desideri e del culto; il Cristo non costituisce più
l’interesse ed il centro di gravità permanente. Ma Gesù non è uno qualsiasi, è Colui al
quale suo cugino, il Battista, non si è sentito “degno di slegare il laccio del sandalo”. Il
Signore che torna a noi in questo Natale imminente si guarda attorno per vedere se nel
cuore dei suoi discepoli vi è ancora fede in Lui, speranza grazie a Lui, e amore
sull’esempio di Lui. Cosa trova Gesù nel mio e nel vostro cuore? Che cosa trova Gesù
nella mia e nella vostra famiglia? Nella mia e nella vostra comunità? Nella mia e nella
vostra umanità? Uniamoci in preghiera nell’attesa del Signore, pensando in particolare,
oggi, al nostro Seminario, dato che la nostra Diocesi ci chiede di pregare specialmente in
questo giorno per il suo “cuore”, il Seminario, chiamato a svolgere il compito difficilissimo
di formare annunciatori e testimoni dell’Evangelo, dell’Invisibile, alla luce di quanto
scriveva Paolo VI: L'uomo contemporaneo ascolta più volentieri i testimoni che i maestri,
o se ascolta i maestri lo fa perché sono dei testimoni” (E.N. 41), ma anche pensando alle
nostre famiglie e alle nostre parrocchie, che sono il primo seminario, il primo vivaio di
fede, di speranza, di carità, di vita cristiana. Il piccolo seme della fede, minacciato dalle
intemperie sociali è affidato a tutti noi, tutti, dal primo all’ultimo, per essere custodito,
continuamente ripiantato, fatto germogliare e fruttificare. Il Signore benedica il nostro
Seminario, ma anche tutte le nostre parrocchie, le nostre famiglie, tutti noi, e ci dia la
grazia di vedere una stagione che sia una primavera, dove rifiorisce la voglia di amare, la
voglia di servire, la voglia di amare il Signore, la voglia di essere fratelli e sorelle nella
Chiesa da credenti, la voglia di tanti giovani di non sciupare la vita in cose opache e
banali ma la voglia di impiegare la vita per qualcosa di grande, per amare tantissimo il
Signore Gesù e la sua Chiesa, per amare tantissimo questa nostra umanità.