OmelieOmelie Marzo 2020

8 marzo 2020 – II Domenica di quaresima (anno A) – Don Samuele

Sia lodato Gesù Cristo. Sempre sia lodato.

 

Nell’anno liturgico A, che stiamo vivendo, in quaresima ci vengono proposte nella prima lettura alcune pagine che raccontano le tappe salienti della Storia della Salvezza. Domenica scorsa le origini dell’uomo ed il peccato originale, ed oggi la chiamata di Abramo.

 

Abramo il chiamato, il credente

Una vocazione espressa con poca delicatezza: “Vàttene dalla tua terra, dalla tua parentela e dalla casa di tuo padre”, che è come dire: rompi con il tuo passato, proiettati verso un futuro nuovo, inedito, imprevedibile. Un messaggio che forse entusiasmerebbe un giovane di 20 anni, ma Abramo ne aveva 90!!! Se il tono sembra sgarbato, la prospettiva è allettante: “Farò di te una grande nazione e ti benedirò, renderò grande il tuo nome e possa tu essere una benedizione… in te si diranno benedette tutte le famiglie della terra”. Un progetto fantascientifico per l’uomo, ordinaria amministrazione per Dio. Ma tale disegno può diventare realtà normalissima, basta che un solo uomo ci creda. Abramo vi ha creduto. Tanti cristiani prima di noi vi hanno prestato fede. Adesso tocca a te fidarti ed affidarti. Sei chiamato allo stesso modo, sei provocato allo stesso modo. Anche a te Dio chiede: “Vàttene dalla tua terra, dalla tua parentela e dalla casa di tuo padre”, cioè rompi con il tuo passato, proiettati verso un futuro nuovo, inedito, imprevedibile. Questa è la conversione che la Quaresima chiede a tutti. E se hai paura ad essere giovane di cuore, a partire come Abramo, chiedi a Dio luce e forza, con le parole che il salmo 32 oggi ci fa ripetere: “Ecco, l’occhio del Signore è su chi lo teme, su chi spera nel suo amore”.

 

Una vocazione santa per tutti

Se cerchi conferme sulla possibilità di un tale futuro, che profuma di eternità, ascolta le parole dell’apostolo Paolo, che, scrivendo a Timoteo, oggi ti dice: “Egli ci ha già salvati e poi ci ha chiamati con una vocazione santa, non già in base alle nostre opere, ma secondo il suo progetto e la sua grazia”. Questo fa Dio per noi: prima ci ha già garantito un dono immenso, che è la salvezza della nostra vita da tutto ciò che la deturpa e la rovina, e solo dopo ci chiama a non restare spettatori, ma a divenire protagonisti di una vita nuova, e questo perché “Egli ha vinto la morte e ha fatto risplendere la vita e l’incorruttibilità per mezzo del Vangelo”, ci diceva S. Paolo.

Facciamo sempre più fatica a credere che Dio ci ha chiamati e ci sta continuamente chiamando. Ci stiamo abituando drammaticamente a vivere etsi Deus non daretur, come se Dio non ci fosse. Anche in casa cristiana avviene quella che il Cardinale francese Pierre Eyt, Arcivescovo di Bordeaux, chiamava “l’apostasia tranquilla”, cioè non porte sbattute sgarbatamente in faccia a Dio e alla Chiesa, ma una progressiva quanto inesorabile disaffezione, un costante ed esponenziale allontanamento, una sottile e tenace indifferenza. Quello che per secoli abbiamo sempre amato e tutelato come ciò che è più necessario e prezioso sta diventando irrilevante, ininfluente sulla nostra vita. E così rischiamo di essere perennemente quella pecorella smarrita sempre in fuga, e più la voce del pastore ci chiama e ci richiama, e più allunghiamo il passo per aumentare la distanza e la differenza, e cercare chissà dove la nostra felicità, la nostra realizzazione, la nostra vita! Cerchiamo ancora di conoscere e di riconoscere la voce del Signore, con la stessa giovinezza del cuore di Abramo, senza calcoli, senza stipulare polizze assicurative sulla vita? Con la stessa passione di Paolo, che ha dedicato tutta quanta la vita, l’unica vita che aveva a disposizione, a Cristo ed al Vangelo?

 

Gli amici di Dio protagonisti della Trasfigurazione

Anche nell’Evangelo di questa seconda Domenica di Quaresima, che è sempre la pagina della trasfigurazione, troviamo uomini capaci di vivere una grande amicizia con Dio. Gesù porta sul monte non tutti e dodici gli apostoli, ma solo quelli più disposti all’amicizia con Lui. E qui, in questo momento di luce particolare, si presentano i due grandi amici di Dio dell’Antico Testamento, Mosè ed Elia, i due che incarnano la “Legge” ed i “Profeti”, cioè tutta la storia di Israele, gli unici due che avevano avuto il privilegio di vedere Dio, ma di spalle, non a quattr’occhi, perché chi vede Dio muore, così pensavano gli antichi. Ora, sul Tabor possono fissare Dio negli occhi e non morire: chi in Cristo vede Dio non muore, ma vive in eterno! Quel Dio maestoso, che cavalca le nubi, ora è a loro portata, e dialoga, come sempre ha fatto, e come mai ha fatto.

 

La Liturgia nostra Trasfigurazione

Se ci pensiamo bene, ogni celebrazione liturgica per noi è il vivere l’evento della Trasfigurazione, dove ciò che è umano si toglie la maschera e lascia intravvedere Dio. Gesù nel suo Corpo e Sangue oltre il pane ed il vino; Cristo con la sua Parola potente, oltre le povere parole umane; il Messia che libera e salva, attraverso i segni, i simboli, i riti sacramentali; il Signore glorioso dentro questo frammento di umanità che è la Chiesa; la gloria di Dio, che si svela anche dentro le croci umane; … è quanto sul Tabor Gesù ha fatto, volendo educare e preparare i suoi amici ad affrontare e superare lo scandalo della Croce con la promessa e la premessa della Resurrezione. La Quaresima costituisce la nostra possibilità di vivere la Trasfigurazione del Signore, e di affrontare la vita forti nella fede, nella speranza e nell’amore, perché quel volto glorioso si stampa nei cuori e ci consente di affrontare la vita senza paure: “Se Dio è per noi, chi sarà contro di noi? Chi ci separerà dall’amore di Dio?”.

 

Invito all’amicizia con Dio

Stampiamolo nel cuore questo messaggio in questa Domenica, soprattutto in questo tempo di apprensione e di timore, in cui sentiamo vacillare tante nostre sicurezze, in cui siamo costretti ad abbandonare la normalità delle cose. Vi invito a vivere intensamente questa amicizia con Gesù Cristo e la sua sequela, perché questa è l’unica medicina che guarisce, e l’unica arma che ci consente di vincere qualsiasi battaglia contro qualsivoglia male che minaccia il corpo e lo spirito. Vi auguro di vivere intensamente il mistero pasquale. Vi invito ad incontrare Cristo più intimamente, specialmente attraverso la contemplazione della sua passione, morte e risurrezione. Rinnovo così l’invito espresso venerdì sera durante la meditazione dopo la Via Crucis. Questo male del coronavirus può addirittura diventare un “bene” se ci rimette sulla carreggiata degli essenziali, se ci consente di riscoprire la grandezza della nostra dignità e della nostra umanità, se ci fa rigustare la bellezza e la verità della nostra fede. Incontrando un gruppo di giovani studenti Benedetto XVI ha chiesto il medesimo approccio con queste parole: “È Lui, Cristo, che … orienta i vostri passi, i vostri studi universitari e le vostre amicizie, negli andirivieni della vita quotidiana. Anche per ciascuno di voi, come avvenne per gli Apostoli, l’incontro personale con il divin Maestro che vi chiama amici (cfr Gv 15,15) può essere l’inizio di un’avventura straordinaria: quella di diventare apostoli tra i vostri coetanei, per condurli a fare la vostra stessa esperienza di amicizia con il Dio fatto Uomo, con Dio che si è fatto mio amico. Non dimenticate mai, cari giovani, che dall’incontro e dall’amicizia con Gesù dipende, in fin dei conti, la vostra, la nostra felicità… Se coltiverete l’amicizia con Gesù, se sarete assidui nella pratica dei Sacramenti, e specialmente dei sacramenti della Penitenza e dell’Eucaristia, sarete in grado di diventare la “nuova generazione di apostoli, radicati nella parola di Cristo, capaci di rispondere alle sfide del nostro tempo e pronti a diffondere dappertutto il Vangelo”. Prego con tutto il cuore il Signore per i nostri giovani, perché facciano tesoro di queste parole di un Papa grande, e sentano davvero l’amicizia con Gesù come il tesoro più prezioso per la loro giovinezza. Ecco un buon elisir di giovinezza del cuore. Abramo è il testimonial della sua efficacia, Mosè, vissuto 1.300 anni prima di Cristo, ed Elia, morto 850 anni prima di Cristo, addirittura, attestano che l’amicizia con Dio sfida e supera i secoli ed i millenni, consente di affrontare e di superare ogni Croce, assicura la resurrezione e la vita. L’ha assicurata a Gesù, la garantisce a tutti quelli che credono, chiede a tutti noi di farne tesoro: “Questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento. Ascoltatelo!”. Beati noi se lo faremo!