OmelieOmelie Marzo 2020

15 marzo 2020 – III Domenica di quaresima (anno A) – Don Samuele

Sia lodato Gesù Cristo. Sempre sia lodato.

 

Quanto sentiamo attuale l’esperienza di Israele nel deserto, in questa ora di deserto per l’intera umanità. Ci sentiamo soli, nonostante si stanno moltiplicando i lodevoli tentativi di farci sentire ancora popolo in cammino, non prostrato.

 

Massa e Meriba oggi

Oggi il luogo di Massa e Merìba, non è più una semplice località da individuare sulla mappa delle carovaniere che attraversano le terre desolate del Sinai. Oggi Massa e Merìba sono l’intero pianeta, dove risuonano le preghiere di tanti figli di Dio, ma anche la comprensibile protesta di chi mette alla prova il Signore, dicendo: «Il Signore è in mezzo a noi sì o no?». E Dio non si sottrae mai alla prova. In quel tempo Dio ha ordinato a Mosè: “Prendi in mano il bastone con cui hai percosso il Nilo, e va’! Ecco, io starò davanti a te là sulla roccia, sull’Oreb; tu batterai sulla roccia: ne uscirà acqua e il popolo berrà”. In questo nostro tempo Dio assicura il suo popolo, ma anche tutti gli uomini: “Ecco, io starò davanti a te là sulla roccia, sull’Oreb; tu batterai sulla roccia: ne uscirà acqua e il popolo berrà”. Sì, Dio è la roccia di rifugio, Dio è il bastone ed il vincastro con cui affrontare i viaggi difficile, Dio è l’acqua della consolazione e della speranza. Mai come in queste ore l’immagine del Crocifisso si staglia davanti a noi, a conforto, a rifugio, a salvezza. Da Lui, pietra angolare, scartata dai costruttori, ma eletta da Dio, dal suo costato trafitto scaturisce l’acqua che disseta l’aridità, che conforta le lacrime, che solleva le fatiche. Il legno della Croce è lo strumento con il quale possiamo ottenere guarigione e salvezza. E se sperimentiamo la tentazione di gridare: «Il Signore è in mezzo a noi sì o no?», l’incontro con Gesù che parla al cuore, che nutre col suo corpo, che edifica la comunione della Chiesa, metta in fuga ogni sospetto, ogni dubbio, e ci faccia sentire ancora e sempre la certezza di essere amati, di essere accompagnati, di essere redenti.

 

Il pozzo di Sicar oggi

Questa consapevolezza si respira ad ogni passaggio nel Vangelo della Samaritana. A Sicar, al pozzo di Giacobbe, Gesù attende di incontrare questa donna, proveniente da un popolo che non è l’Israele puro, e in lei, attende e vuole la Chiesa di ogni luogo e di ogni tempo, ciascuno di noi. È il mezzogiorno, l’ora centrale della giornata, ma è anche l’ora cruciale della vita di questa donna, il suo kairòs. E avviene il contrario di quel che dovrebbe essere: Gesù le chiede da bere, affinché, dialogando, sia lei ad accorgersi di avere sete di Dio, e a Gesù si indirizzi il salmo: l’anima mia ha sete di Dio, del Dio vivente, quando vedrò il suo volto? Lasciamo risuonare nell’anima le parole del Signore: “Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è colui che ti dice: “Dammi da bere!”, tu avresti chiesto a lui ed egli ti avrebbe dato acqua viva”. Sì, perché l’umanità ha il palato talmente devastato da non accorgersi nemmeno più di avere sete di acqua viva, poiché ci siamo abituati a bere da cisterne screpolate acqua che è fango! E in questo dialogo la donna continua a ragionare sul piano umano, mentre Gesù fa di tutto per condurla a ragionare in una dimensione divina. Lei parla dell’acqua del pozzo, e Gesù parla di se stesso come acqua viva: “chi berrà dell’acqua che io gli darò, non avrà più sete in eterno. Anzi, l’acqua che io gli darò diventerà in lui una sorgente d’acqua che zampilla per la vita eterna”. Ecco è sufficiente una minima disponibilità a stare con Gesù, a dialogare con Lui, a lasciarlo entrare nella mente, nel cuore, nella vita, che, senza nemmeno tanti sforzi, si cambia dentro, e ci si ritrova capaci di lanciarsi verso l’alto, verso le grandi questioni che riguardano la vita: “I nostri padri hanno adorato su questo monte; voi invece dite che è a Gerusalemme il luogo in cui bisogna adorare”. Ecco, quando il Signore scopre questo cuore aperto alla Verità, disponibile alla fede, non ha paura a rivelarsi, più a una donna samaritana che al sommo sacerdote del tempio: “viene l’ora – ed è questa – in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità: così infatti il Padre vuole che siano quelli che lo adorano. Dio è spirito, e quelli che lo adorano devono adorare in spirito e verità”. Adorare Dio significa lasciarsi portare alle dimensioni alte dello spirito e della verità, lasciarsi inondare dallo spirito e avvolgere dalla verità. Anche una donna analfabeta, poco religiosa, con una vita morale quanto mai discutibile (5 mariti + un attuale compagno, diremmo oggi) diventa “capace di Dio”, di stare con Lui, di dialogare con Lui, di essere rapita dal cielo, di vivere la Trasfigurazione. Questo le riconosce Gesù, quando si dona a lei: “il Messia … Sono io, che parlo con te”. La Samaritana è figura ed immagine della Chiesa, la casta meretrix, secondo la definizione di alcuni Padri della Chiesa, la santa prostituta, che, per avere creduto, è stata lavata dal peccato, si è convertita, ha creduto al Vangelo, ed ha vissuto il miracolo della evangelizzazione, cioè si è recata sulle strade del mondo per attendere ed incrociare l’umanità, ed aiutarla a vivere il medesimo incontro con Gesù, che libera e salva, ed in 2.000 anni di storia ha continuato a toccare con mano lo stesso miracolo: “Molti Samaritani di quella città credettero in lui per la parola della donna, che testimoniava”.

 

Molti credettero in Lui!?!

Se ci crediamo ancora a queste cose, possiamo vivere lo stesso mezzogiorno accaduto al pozzo di Sicar, possiamo continuare a ricevere la stessa rivelazione, possiamo essere protagonisti dello stesso miracolo: di un mondo tanto distante da Dio, ma tanto assetato da cogliere ed accogliere il dono dell’acqua viva. Molti Sabbionetani, molti mantovani, molti lombardi, molti italiani, molti europei, di quella città credettero in Lui per la parola della donna, della Chiesa, che testimoniava “che questi è veramente il salvatore del mondo”. E vi pare che annunzio sia superfluo, soprattutto in un’ora in cui la paura, la perdita di speranza, l’arresa, potrebbero pregiudicare il nostro presente ed il nostro futuro? Abbiamo certo bisogno di posti letto, di macchinari per la terapia intensiva, di persone che donano sangue, di medici e infermieri competenti e generosi, di vaccini adeguati a combattere il morbo, e di mille altre cose, ma abbiamo bisogno anche di una visione di luce, di speranza, di futuro, in altre parole abbiamo bisogno di ritrovare Cristo, acqua viva, perché tutto il resto vale per un po’, “Chiunque beve di quest’acqua avrà di nuovo sete; ma chi berrà dell’acqua che io gli darò, non avrà più sete in eterno”.

 

Una premessa ed una promessa

Alla luce di questa vicenda e di queste premesse, voglio riaffermare le parole di S. Paolo come una promessa: “mediante la fede”, siamo “saldi nella speranza”, infatti “la speranza non delude, perché l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato”. Di questo ne siamo certi: “Dio dimostra il suo amore verso di noi nel fatto che, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi”. Se ha fatto tanto per noi quando eravamo peccatori, quanto di più farà per noi, adesso che siamo figli! Dunque coraggio, fiducia, forza e speranza, con la fede si vince il mondo!